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LA FAMIGLIA LEOPARDI SUL DECLINARE DEL XVIII SECOLO

APPENDICE, pag. 125 e segg. TERESA TEJA LEOPARDI

Il C.te Giacomo Leopardi avo del Poeta morì nel 1781, lasciando la sua vedova M.sa Virginia Mosca Passionei di Pesaro in gravi imbarazzi.
La vasta amministrazione dei dominii dei Leopardi cadde nelle mani di una giovane signora timida ed inesperta.
Nella semplicità della sua natura, non poteva ella trovare l'energia e la fermezza necessarie onde regolare tanti interessi importanti e complicati, o per risolvere liti delle quali ella ignorava l'origine certa.
Sola, isolata, essa tutto abbandonò nelle mani di reggenti e agenti onesti ma inetti che le aveva lasciati suo marito.
Il C.te Monaldo suo figlio primogenito non le fu di verun aiuto nell'uscir di adolescenza, perché mostrandosi fin da fanciullo assai inclinato allo studio, si consacrò interamente alla dottrina, abbandonandovisi con vera passione, sempre assorto in ricerche archeologiche. Diventò distinto bibliofilo e antiquario, e, o non si occupò, o con poca riuscita, delle sue terre, né dell'amministrazione del suo patrimonio.
La vita della C.ssa Virgìnia trascorse fra pie occupazioni e la cura de' suoi figli (1) che essa affidò al P Giuseppe Torres Gesuita messicano rifugiato presso i Leopardi dall'epoca della Rivoluzione Francese. Questo religioso ebbe l'ospitalità la più generosa e seppe riconoscerla nella missione affettuosa ed importante di cui si caricò verso i figli e nipoti de' suoi ospiti. Monaldo fu il suo allievo prediletto. Avrò occasione di ritornare sul P. Torres, (D. Giuseppe, come fu sempre chiamato) ? nobile e grande personaggio,troppo negletto in tutto quello che si è scritto di buono e di cattivo, di vero e di falso sopra la famiglia Leopardi (2).

Malgrado il disordine che andava aumentando, nulla era stato alienato di tante possidenze, e parmi che neppure fossero state gravate da ipoteca alcuna. I debiti, ingentissimi, si dividevano fra numerosi creditori: Ebrei di Perugia, di Milano, di tutta la Marca eran fra questi (ne vidi io stessa le quietanze e le lettere) e costoro furono i soli che ricorressero alle vessazioni.
Dal che si vede quanta fiducia ispirasse agli onesti quella rispettabile e rispettata famiglia.
E forse il sentimento di tal fiducia peggiorò il male, poiché il C.te Monaldo firmava, e firmava con buona fede, senza troppo badare, le cambiali che gli davano respiro ma che avrebbero inghiottito le sue sostanze se la Provvidenza non avesse vegliato sulla sua casa, facendogli trovare nella giovane M.sa Adelaide Antici l'angelo che doveva salvarla.
Il C.te Monaldo fu ben accetto agli Antici che punto si sgomentarono della sua situazione, rassicurati per di più dal carattere forte e sensato della giovane M.sa la quale s'impegnò di reggere quella trascurata amministrazione, sicura della fiducia e dell'amore dello sposo e dell'amabile suocera.
La C.ssa Adelaide sposatasi nel 1797 intraprese con coraggio e fin dai primi giorni il difficile incarico di ristaurare una situazione cotanto compromessa.
Il suo primo atto d'autorità fu questo: non accettò dal marito e dalla sua nuova famiglia, altri gioielli salvo alcuni, che, sebben semplicissimi, serbò preziosi per tutta la vita. Io ne vidi gli usati avanzi serbati dalla pietà figliale di Paolina; un modesto finimento di coralli, uno spilloncino pel suo collare.

Le gemme di famiglia che ancor rimanevano, forse eccettuato solo un anello a doppio giro di brillanti (3), essa volle che servissero a riparare qualche breccia importante: vennero impegnate, e, molti anni dopo, vendute fuori di Recanati per cura di un nobile parente; ma essa non se ne adornò mai; il che fu certamente il più generoso sacrificio. Pur tuttavia a poco si era rimediato, e allora, con una forza d'animo forse più savia che tenera e per prevenire ogni assalto da parte della natura facile del marito e garantirsi contro ogni trama ordita da creditori poco scrupolosi, la C.ssa Adelaide chiese al C.te Monaldo che rinunciasse formalmente in favore di essa a tutti i suoi diritti come amministratore.
Posto così sotto tutela, egli fu trattato infatti da pupillo ben guardato, e privo di danaro (4). Ma siccome non fu privato dei suoi prediletti libri, e che la sua biblioteca, il suo museo, il suo medagliere sfuggirono alla confisca, presto si consolò della sua umiliante condizione. D'altronde, figliuoli adorati sopravvenivano a popolare il focolare rattristato dalla penuria, e il cuore svisceratamente paterno del C.te Monaldo trovò ineffabili conforti in un sacrificio che doveva assicurare alla sua stirpe un miglior avvenire. Quel padre amoroso lasciò ignorare ai suoi figli quelle sollecitudini penose, perché, nel tempo stesso ch'egli non voleva rattristare la loro lieta adolescenza colle amarezze proprie, pur doveva conservare il suo prestigio e quello del suo nome, uno de' principali nel libro d'oro del patriziato recanatese, non che la considerazione della famiglia, il rispetto, insomma, del palladio domestico.
A primo colpo d'occhio la C.ssa Adelaide avea misurata la profondità dell'abisso, e, mercè una di quelle idee felici che sorgono negli animi forti, essa portò ai piedi del Pontefice, colla mediazione de' suoi illustri Parenti (5), la storia commovente di quella grande decadenza, e si mostrò pronta a tutti i sacrifizi per salvar ad un tempo l'onore del suo casato, l'avvenire della stirpe, e l'interesse de' creditori. Senza far qui l'apologia del Papato, non avendo io in mente di mescolare in questi semplici racconti discussioni che sorpasserebbero la mia debole intelligenza, devo dire però che in questa occasione, come in molte altre, il Governo Pontificio fu ammirabile di equità, saggezza, provvidenza, e che la sua attività non si trovò mai in fallo quando era in campo qualche grande interesse umanitario, sia rispetto a paesuccoli remoti ed ignorati, sia che gli individui fossero all'alto o al basso della scala sociale. Potrei produrre documenti autentici e singolari di quanto qui affermo.   Il Governo Pontificio prese dunque il caso dei Leopardi in seria considerazione; e incaricò Monsignor Giovanni Alliata, di nobile famiglia Pisana, giureconsulto distinto e Visitatore Apostolico a Loreto, di esaminare lo stato di quella insigne famiglia. Questo prelato compì in fatti il delicato mandato che gli costò lunghi studi. Vidi io stessa i voluminosi documenti da Carlo e Paolina più volte mostratimi nell'archivio domestico, ove giacevano in quel mirabile ordine e regolarità che fu sempre qualità caratteristica a tutto il casato; e su ogni busta che li conteneva leggevasi l'epigrafe ? "Concordia Alliata". ? Quante leggende in monumenti elevati ai giorni nostri alla memoria di uomini più o meno grandi nella loro verbosa ridondanza dicono meno di quelle due parole che sono tutta la storia dell'infaticabile e sapiente Prelato!
Con questo concordato fra i Leopardi e i loro creditori, fu deciso che nessuno di questi potesse esigere il suo credito prima di 40 anni; ma se ne fissarono gli interessi all'8 %; e questa fu la ragione delle economie che fecero metter tante grida a quelli che non conoscevano questi fatti di alta probità.

La C.ssa Adelaide non si contentò di pagare gl'interessi abbastanza gravosi, ma volle saldare, man mano che le riesciva possibile, quei debiti che nella sua illuminata coscienza giudicava più sacri, quelli cioè a favore di coloro che pativano maggiormente della tardanza di riavere i loro fondi, o che mancavano di garanzie legali; perché non sarebbe mai passato pel capo del C.te o della C.ssa di cavillare coi propri creditori.
Quell'opera diprobità durò 40 anni; quella coppia ammirabile sembrava prolungarne a piacere la conclusione, disotterrando ogni sorta di appunti e note sepolte non solo nei libri dell'amministrazione, ma ancora nelle carte dei membri defunti della famiglia: tanto temevano di dimenticare qualche debito, anche se se ne fossero dimenticati i creditori (6).
A proposito di questa grande crisi della famiglia Leopardi, qui mi piace dare com'è mio dovere, un tributo d'omaggio e di gratitudine al P. Torres che soccorse sovente la Contessa ne' suoi quotidiani bisogni. Carlo si ricordava di certa calzetta lunga, sottile, sdruscita dalla quale il buon Padre traeva qualche piastra messicana che prudentemente dava ad essi fanciulli onde la rimettessero alla madre ogni qualvolta ne faceva la domanda: del qual denaro la madre sempre volle rilasciare al Torres formali obbligazioni che questi poi non volle mai venissero saldate. La C.ssa Adelaide e sua figlia Paolina dopo di lei, facevano celebrare delle messe per l'anima sua, e restituire così, dicevami Paolina, il bene da lui ricevuto nei giorni della loro penuria.
Per spiegar maggiormente gli oneri che pesavano sulla famiglia e che oppressero sì a lungo l'esistenza dei genitori di Giacomo, costringendoli ad innumerevoli sacrificii, e per giustificar del tutto la loro condotta verso i figli, dirò che malgrado lo squallore e gl'imbarazzi in cui si trovavano, né la C.SSa madre, né i vecchi cadetti, zii del C.te Monaldo, ebbero a patire le privazioni che imposero a sé stessi e ai loro figli il giovane conte e la sua sposa. Ognuno di quelli aveva il suo trattamento e le loro persone proprie di servizio, come ai tempi del passato splendore).

 

NOTE

(1) Il Conte Giacomo lasciò tre figli in tenera età: Monaldo nato nel 1776: Ferdinanda nel 1777; c Vito nel 1779. Questi due ultimi non hanno avaro tal parte negli avvenìmentì della vi ta dì Gìacomo che potesse interessare il pubblico.  

(2) Nonostante le strettezze in cui versava la Famiglia Leopardi, l'ospitalità da essa accordata ai profughi religiosi ed ecclesiastici di Europa e America dopo la Rivoluziono Francese, fu altrettanto generosa e liberale quanto quella parimenti allora con essi esercitata dalle famiglie più cospicue del patriziato italiano.
Fra questi ospiti, coloro che più particolarmente rammento dai discorsi sentiti da Carlo e Paolina sono: un Vescovo di Perpignan (ma ne scordai il nome) un sant'uomo del quale la C.ssa Virginia conservava come reliquie tutto quel che aveva lasciato in casa: i PP. Giuseppe Torres Francesco Serrano, Gesuiti messicani: quest'ultimo lasciò in casa Leopardi dei capolavori, disegni alla penna, sfumati in rosso; e di questi ne rammento due in quadrati, simili agli antichi cartoni di sommi Maestri. ? L'Abate Parpaglia, di antica e nobile famiglia piemontese, ricevette l'ospitalità della sepoltura nell'avello de' Leopardi in S. Maria di Varano: l'Abate Borne di Monpellíeri, pel quale i giovani Leopardi avevano tenerissima affezione. Pare però che quel degno uomo non avesse scienza eguale a quella sfoggiata nell'eruditissimo circolo che si radunava in casa Leopardi, formato in gran parte dai dotti religiosi che vivevano allora nei conventi e famiglie recanatesi e che tanto cooperarono all'educazione intellettuale ed eccezionale dei fratelli Leopardi, perché questi (e ]or perdoni il buon Abate "du haut du Ciel, sa demeure dernière") lo canzonavano bellamente servendosi della lingua francese, imparata da lui, a sconciarne irriverentemente il nome mutato di Borne in Borné. II che non impedì fra l'ottimo prete e Carlo un affettuosissimo carteggio che dovette finir presto. 

(3) Quell'anello stesso mi fu per volontà di Carlo, prestato da Paolína per la cerimonia nuziale, desiderando egli sposarmi collo stesso anello che, a quanto dicevano essi, era stato l'anello nuziale della loro madre; e lo restitui a Paolina dopo che l'ebbi scambiato con quello che porto tuttora.  

(4) Ho potuto raccogliere questi ricordi ed altri più interessanti ancora dal Consigliere legale della famiglia Leopardi, l'illustre Avv. Pietro Pellegrini, già Professore di Diritto Penale in Macerata, uno fra i più dotti della dottissima Curia Maceratese. Dopo che egli ebbe sostenute le cause del C.te Monaldo, come si vedrà dalla lettera qui appresso, ne assistette la sua vedova, il figlio Pier Francesco, l'ultimo de' suoi figli ed erede, e la Paolina. Egli vive tuttora; e io fui tanto avventurata da ereditare lo stesso affetto, e devozione e premure da lui spese a favore dei vecchi Leopardi, pei quali, in specie pel C.te Monaldo, conserva un vero culto. Nessuno meglio di lui potrebbe fare una biografia esatta, coscienziosa, eloquente di quel padre eroico e poco conosciuto: se non che da molti anni il celebre giureconsulto si riposa della sua operosa carriera nella sua tenuta di Rambona, recesso ameno sempre aperto agli amici suoi privilegiati: e ivi come Cicerone a Tuscolo, egli si consola della natura, degli uomini e delle cose, seppure quell'ottimo, la cui vita è la bontà in azione, ha mai conosciuto l'amarezza! ecco quello che mi scrisse da Rambona, il 17 Luglio 1881. "Ho cominciato a leggere il suo opusco lo Poteva solo rettificarsi una irrilevante inesattezza, che cioè l'Avv. Bianchivi fosse stato il movente perché io assumessi la trattazione degli affari Leopardi, mentre invece fu il Prof. Giuseppe Giuliani che Ella ha conosciuto di persona. Nell'ottobre del 1845, io dimorava in una punta dell'Appenino nella Villa del Sig. Giuseppe Crivelli mio amico, dove in quegli anni ricorreva a prendere un pò di riposo nelle ferie forensi. Là mi giunse una lettera del Prof. Giuliani, il quale con quella bontà tutta speciale che aveva per me, mi pregava di partire subito per Recanati, e quindi per Roma onde assumere gli affari intricati del C.te Monaldo che era stato assalito da undici cause ben gravi nel medesimo giorno. Risposi subito ricusando l'incarico così grave e difficile, sia perché mi conosceva insufficiente, sia perché mi sentiva stanco delle fatiche sostenute in quell'anno. Ebbi subito una successiva lettera nella quale amorevoli insistenze mi obbligarono di partire per Macerata, ove sperava di sottrarmi a queste, dopo un abboccamento che avessi sostenuto col mio secondo padre. Fu tutto inutile, andai a Recanati, rimanendovi parecchi giorni, e lì cominciai quella familiarità che ebbi col C.le Monaldo finché visse, e ammirai sempre la delicatezza de' suoi sentimenti e l'affezione per i suoi figli vivi e defunti, e su certe idee non bisogna dimenticare i tempi in cui era nato, i principii che dominavano specialmente in fatti di fide? commissi e primogeniture. Con l'Avv. Luigi Bianchini non parlai mai degli affari Leopardi, ma fu bensì col figlio Avv. Cesare che ebbi a che fare per alcuni anni allorquando dovetti associarlo nei grandi lavori che si dovevano sostenere, e per i quali non mi bastava il tempo. Più volte conferii col Prof. Giuliani, che conservò sempre molta deferenza pel C.le Monaldo. Questi dettagli non hanno alcuna importanza, ma solo ho voluto ricordarli perché non si creda che l'Avv. Luigi Bianchini anziché il Prof. Giuseppe Giuliani avesse avuto qualche ingerenza nel maneggio di quelli affari...".  

(5) Carlo e Paolina mi dissero non aver memoria che la loro madre lasciasse, anche per un giorno solo, Recanati, per non abbandonare la casa e i figli, dai quali giammai si separò se non quando li affidava a D. Vincenzo Diotallevi, e poi all'Abate Sanchini, non però mai ai servitori.  

(6) Mi scrivevo l'Avv. Pellegrini da Rambona il 31 Luglio 1881. " …Non ricordo se tra noi vi sia stata occasione di parlare di un aneddoto che fa onore alla memoria del C.te Monaldo e della C.ssa Adelaide. Egli morendo lasciò un autografo diretto alla C.ssa Adelaide a cui raccomandava di soddisfare alcuni debiti che chiamava di coscienza e che erano diretti a soddisfare dei danni che temeva di avere arrecati, ed erano anche somme vistose, ed anche frivole. Dal C.`e Pietro (Pier Francesco) ebbi incarico di passare uno o due papetti per pagare il prezzo di un'associazione al Prof. Liberati, mentre temeva di non aver soddisfatti uno o due fascicoli, e non ricordo di qual opera. Circa lo stesso tempo vennero a Macerata due Cappuccini, i quali presentarono al C.T.C.( varj gruppi di denaro contenenti in tante svanziche circa scudi 2300, senza palesare la provenienza, ma che dissero essere un debito che si credeva di coscienza. Io non vidi l'autografo, e non azzardai di domandare spiegazioni più esplicite né al C.`e Pietro, né alla C.ssa Paolina, ma compresi bene dall'uno, e dall'altra che quei Cappuccini erano stati incaricati dalla C.ssa Adelaide. Trattandosi con coscienze così delicate non si possono, ammettere quelle assurdità che servirono a calunniare quei poveri vecchi...".  

(7) I servi duravano nella famiglia fino alla loro morte, assistiti nelle loro malattie, e in parecchie circostanze, dai padroni stessi. Conobbi la vecchia cameriera della C.ssa Virginia, Maria Grufi morta nel 1859, in età di 88 anni: le due cameriere di Paolina la servivano a vicenda, non la lasciavano mai, e veniva ogni giorno sentir la Messa nella Cappella di casa, sostenuta da loro, e bene spesso da Paolina e da me. Nelle grandi e patriarcali famiglie d'allora, non si chiamavano i servi col nome albero di servitù, ma con quello più gentile di famigli, e famiglia per la servitù tutta insieme ? non intesi mai né Carlo, né Paolina, né le Mazzagalli esprimersi altrimenti. Le cameriere eran chiamate le donne. A proposito dei riguardi ed amorevolezze usate ai famigli, rammento 1. curioso aneddoto che mi narrava Carlo. Il C." Monaldo era in visita della M.sa Roberti. Uno dei domestici di questa era gravemente infermo, e nell'irritazione che gli cagionavano gli spasimi che soffriva, contrariamente ai religiosissimi suoi principj, ricusava Sacramenti a gran dispiacere dei padroni. Il C.`e Monaldo, conoscendo l'uomo, si offrì di vederlo e di aggiungere le proprie esortazioni a quelle dei padroni. Usò tutta la sua eloquenza nel rappresentargli La Passione del Salvatore che aveva sofferto tanto di più.
L'infermo gli rispose "Di tutto questo discorretene con Pilato". Il che per altro non gl'impedì di fare una morte edificante. Il C.le Monaldo si compiaceva nel narrare questo suo successo.

 

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