Associazione Bichi Reina Leopardi Dittajuti

Associazione Culturale "Bichi Reina Leopardi Dittajuti"

Studi sulla Nobiltà delle Città Marchigiane Fermo

Grisostomi-Travaglini

A cura di S.A.R. il Principe Sisowath Ravivaddhana Monipong (1)

 

 

 

Fermo era un luogo ideale per missioni diplomatiche essendo sede di una importante diocesi e legata a Venezia dal 1260 con un’alleanza economica che assicurava alla Serenissima l’utilizzo del porto di Fermo.

Una situazione che favoriva altresì gli scambi mercantili.

I Grisostomi giunsero a Fermo dall’Oriente, coniugando ambasceria a commercio.

E’, infatti, antica tradizione familiare che i Grisostomi siano di nobili origini bizantine; i rapporti di Fermo, città costiera, con l’Impero bizantino sono antichi, e si intensificarono durante il periodo dell’Impero latino di Costantinopoli.

Questa potrebbe essere la ragione per cui vennero in seguito chiamati “χρυσοῦν στόμα” (chrysós stoma: bocca d’oro) dove la prima consonante comunemente traslitterata in “C” venne ammorbidita dalla cadenza veneziana in “G”.

Altra ipotesi è che appartenessero a uno dei diversi gruppi della chiesa Ortodossa Bizantina, quali gli Jgnazi, i Procli, i Grisostomi, i Basilij, gli Apollinari, i Flaviani, etc.

A Fermo la famiglia è documentata dall’inizio del XIV secolo, ricoprendo le più importanti cariche della Città e dei suoi numerosi Castelli.

I Grisostomi fecero parte delle così dette famiglie «de regimine», alle quali erano riservate le massime cariche del Reggimento o governo della città.

I più antichi ascendenti dei Grisostomi a Fermo sono Pietromartino e suo figlio Ugolino (dominus Ugolino) giudice, quest’ultimo documentato nel 1333. Il cognome in quanto tale originerà intorno alla metà del XV secolo con Grisostomo «Crisostomo di Piergolino di magistri Symoni Piermartini», che nel 1447 risulta già aggregato al Consiglio comunale di Fermo tra i Cives de Regimine e che è considerato l’eponimo del casato (2).

I membri del casato dei Grisostomi fecero costantemente parte del Consiglio di Cernita del Comune di Fermo ed hanno stabilmente ricoperto in quella città e nel suo territorio le cariche primarie quale il Priorato del Comune, Capitano del Popolo, etc., riservate alle famiglie patrizie. Furono giudici, podestà, giureconsulti, medici, e contarono numerosi ecclesiastici; furono ascritti al collegio dei mercanti e si distinsero valorosamente nei fatti d’arme delle guerre che ebbero luogo nelle Marche nei sec. XIV, XV e XVI.

La famiglia conta numerosi matrimoni con le casate più illustri del patriziato di Fermo e della nobiltà del territorio, tra i quali citiamo quelli con gli Ottinelli, Paccaroni, Fogliani, Eufreducci (poi signori di Fermo), Guerrieri, Adami, Azzolino, Montani, Raccamadoro poi Raccamadoro-Ramelli e inoltre Luciani-Ranier, Ceccaroni-Cambi-Voglia e Grassi-Fonseca, di quest’ultimi i Grisostomi-Travaglini sono eredi del ramo secondogenito.

Alla famiglia vennero costantemente sin dai tempi più risalenti attribuiti trattamenti propri della nobiltà e del patriziato, quale il trattamento attribuito al già citato “Dominus Ugolino” nella prima metà del XIV sec., e Messere, Ser, Dominus, Excellentissimus, Perillustris e Illustris, etc.

Tra gli appartenenti al casato si ricordano: ser Simone, medico nel 1406, nel 1430 zecchiere della Zecca di Fermo; tramite matrimonio con Vannarella Ottinelli, insieme a Giovanni Eufreducci, marito di Selvaggia Ottinelli, ser Simone ottenne il giuspatronato delle chiese di Santa Maria ai piè del Menocchia a Castel Marano e della prepositura di Santa Maria di Giacomo nel Piano del Tenna nell’odierno comune di Fermo. Crisostomo I nel 1425 si reca in Slovenia a Ragusa in qualità di ambasciatore per acquistare l’argento per la Zecca retta dal padre (3); il 31 gennaio 1434 Crisostomo è uno dei 12 prescelti per il corteo che accolse a Fermo Francesco Sforza (4), nel 1445 è uno dei 10 ostaggi inviati da Alessandro Sforza ad Osimo (5), tra il 1459 e il 1463 è Podestà di Appigliano; nel 1450 “Grisostimo de Grisostimi” fiorì all’arte militare (6). Piergiovanni (Giovanni) è Capitano del Popolo per Contrada Castello (7); nel 1481 e nuovamente tra il 1486 ed il 1492; nel 1486 tiene d’assedio Osimo, nel 1487 fu capitano di 100 guastatori sempre nella guerra contro Osimo; nel 1491 assediò Ascoli Piceno a capo di 4.000 fanti e nel 1492 conquistò con 100 fanti la città di Offida (8); è citato tra gli “Uomini illustri nelle armi” del XV secolo (9).

Gabriele insieme al cugino Bernardino Adami fu protagonista nel 1484 della congiura che portò all’uccisione del Vescovo di Fermo Giovan Battista Capranica: scomunicato da Papa Sisto IV troverà rifugio a Castel Marano; verrà perdonato da Papa Alessandro VI il 25 marzo 1493. Il fratello Nicola, per evitare venissero confiscati i beni della famiglia a causa della scomunica, per un certo periodo anteporrà a quello dei Grisostomi il cognome della moglie: Ciprj o Cipria (famiglia proveniente da Cipro): i Cipria Grisostomi e successivamente Grisostomi detti Cipria. Battista (Gio.Battista) Grisostomi è Priore di Fermo nel 1498 ed ancora Priore nel novembre 1505; accoglie a Fermo Antonio Della Rovere, anche in virtù della parentela che legava i Grisostomi ai Della Rovere tramite i Fogliani, avendo Raffaele Della Rovere (figlio naturale di Giuliano della Rovere, poi Papa Giulio II) sposato Nicolosa Fogliani.

Battista è ancora Priore del Comune di Fermo nel marzo-aprile 1521 e nel 1536. Crisostomo II, cooptato tra i Cives de Regimine nell’ottobre 1547, ebbe in dono dalla zia Bastiana Ugolini il giuspatronato dell’altare dei SS. Nicola e Paolo nella chiesa di San Bartolomeo di Fermo e di quelli dei SS. Tommaso e Vittoria in San Zenone (10).

Girolamo, giureconsulto, apprese l’arte militare da Valerio Ursino (11) e fu Capitano del Popolo nel 1548, Capitano di Leonessa nel 1548, nel 1555 Podestà di Camerino (12), ricopre il Priorato a Fermo nel luglio-agosto 1566.

Un ramo dei Grisostomi si trasferì a Nepi al seguito di Giulio III, ove fu ascritto a quella nobiltà, e si crede estinto nel XVII sec. (13). Verso la fine del XVII sec. con Crisostomo IV (Fermo, battezzato nella chiesa di S. Zenone il 5 novembre 1626) di Giambattista, di Crisostomo III Grisostomi, la famiglia si trasferì a Castel Sant’Andrea e successivamente a Castel Marano (attuale Cupra Marittima), ove già aveva da lungo tempo le proprietà terriere, e venne ascritta al Consiglio di quella terra. Aggregata sin dai tempi più antichi al Patriziato di Fermo (14) dopo la Restaurazione i componenti del casato si avvarranno del titolo di conte, quali membri dell’antico Patriziato di Fermo e per distinguersi dalle famiglie aggregate dopo il 1815 alle nobiltà civiche, consuetudine propria della regione marchigiana e soprattutto di Ancona, Camerino e Fermo ed accettato dal governo Pontificio (15).

Il titolo di conte, inoltre, si considerava reso ereditario quando nella stessa famiglia si contavano tre conti palatini l’uno discendente dall’altro; la contea palatina era annessa alla laurea in utroque conseguita in diverse università dello Stato Pontificio.

In seguito al matrimonio di Vincenzo Saverio (nato 13 novembre 1794) figlio di Emidio Grisostomi con Anna Travaglini (nata il 25 marzo 1802), la famiglia aggiunse il cognome Travaglini per imposizione di Carlo Travaglini, padre della sposa e di suo figlio Giuseppe; i Travaglini erano patrizi di Osimo e nobili di Ripatransone (16). Successivamente, nel 1896 l’eredità araldica del ramo secondogenito di Fermo dei marchesi e conti Grassi (17) Fonseca (18) (Galli (19) - Fonseca) confluì nei Grisostomi Travaglini per il matrimonio di Giuseppe (1867 + 1905) con Maria Lucia Grassi-Fonseca (1 marzo 1868 + 7 settembre 1954), figlia primogenita di Antonio Luigi Grassi-Fonseca-Pascucci-Quatrini, nobile e patrizio di Fermo.

In seguito a questo matrimonio, il capofamiglia ebbe attribuito il trattamento di marchese e tutti i suoi membri portano il nome di Antonio o Antonia, in memoria del Beato Antonio Grassi Oratoriano.

Da Giuseppe e Lucia Grassi-Fonseca nasce Vincenzo.

Da Vincenzo e Bianca Ressmann: Giuseppe, sposa Paolina Carla Crotti; Maria Luisa (Marisa), sposa Patrizio Astorri; Anna Maria; Emidio sposa Eva Gerber; Raffaele sposa Lina Crisci; Maria Teresa sposa Claudio Mori.

Da Giuseppe, Vincenzo; da Emidio, Caterina e Corinna; da Raffaele, Maria, Lorenzo, Antonio, Vitale, Gioconda, Vincenzo jr.

La casata conserva ancora il palazzo a Fermo, in Contrada Castello, e la Rocca di Castel Marano (Cupra Marittima) insieme con la chiesa di S. Maria di Castello, già degli Sforza, dei Brancadoro (con i quali ebbero comuni parentele) (20), e dei Paccaroni (con cui vi sono state più alleanze matrimoniali).

Stemma GRISOSTOMI

Dello stemma Grisostomi non sono note, ad oggi, testimonianze monumentali; vi è però uno stemma Grisostomi registrato negli stemmari dell’Archivio Araldico Vallardi (21), che è: D’argento, al paggio di carnagione, vestito d’azzurro e col cappello dello stesso, con le brache d’oro e stivali al naturale, col ginocchio sinistro poggiato sulla campagna di verde, tenente con la destra una face infiammata ed accennante con la mano sinistra verso il fianco sinistro dello scudo, e sormontato da un crescente d’oro posto nel canton destro del capo. Data la rarità del cognome e l’illustrazione della famiglia è da ritenere molto probabile che fosse questa l’arma Grisostomi. Tuttavia si noti che negli ultimi due secoli la famiglia alzò esclusivamente l’arma Travaglini. In seguito al matrimonio di Vincenzo Saverio Grisostomi con Anna Travaglini, la casata – probabilmente in seguito a patti matrimoniali o altro negozio giuridico affine ad una surrogazione – abbandonò l’arma originaria (di cui, salvo lo stemma estratto dall’Archivio Araldico Vallardi si è persa traccia) per assumere unicamente quella della famiglia Travaglini, che è:

D'azzurro, all'alberl nodrito sulla campagna, sormontato dalla colomba volante, il tutto al naturale, con la fascia di rosso attraversante sul tronco (22).

I Grisostomi Travaglini alzarono anche un’arma con varianti: A: D’azzurro, all’albero nodrito sulla campagna, sormontato dalla colomba volante, il tutto al naturale, con la sbarra diminuita di rosso, orlata e carica di quattro bisanti d’argento, posta nel canton destro del capo.

B: D’azzurro, all’albero nodrito sulla campagna, sormontato dalla colomba volante e tenente nel becco un ramoscello di ulivo, il tutto al naturale.

Lo stemma alzato oggi dalla famiglia inquarta lo stemma Grisostomi con le armi Travaglini e Grassi-Fonseca, quest’ultima in seguito al matrimonio avvenuto nel 1896 di Giuseppe Grisostomi-Travaglini con Maria Lucia Grassi-Fonseca, ed è: Inquartato: al primo di Grisostomi, che è di d’argento, al paggio di carnagione, vestito d’azzurro e col cappello dello stesso, con le brache d’oro e stivali al naturale, col ginocchio sinistro poggiato sulla campagna di verde, tenente con la destra una face infiammata ed accennante con a mano sinistra verso il fianco sinistro dello scudo, e sormontato da un crescente d’oro posto nel canton destro del capo; al secondo e terzo di Travaglini, che è: d’azzurro, all’albero nodrito sulla campagna, sormontato dalla colomba volante e tenente nel becco un ramoscello di ulivo, il tutto al naturale; al quarto di Grassi-Fonseca, che è: partito, il primo troncato, alla fascia d’argento sulla partizione, al 1° d’azzurro al bue passante d’argento, sostenuto dalla fascia, al 2° d’azzurro a tre pali d’argento, che è di Grassi; il secondo d’oro, a cinque stelle (8) di rosso, 2,1,2, che è di Fonseca. Riguardo il bue passante (o toro) che si aggiunge allo stemma Grassi nel XVIII sec., sembra valida l’ipotesi trattarsi di un “Privilegio di Familiarità”, a seguito dei rapporti della Famiglia Grassi con l’Arcivescovo e Principe di Fermo Alessandro Borgia (ramo di Velletri) che cresimò il 7 giugno 1756 Lorenzo, figlio di Antonio e di Laura Grassi nata Fonseca de Gallis. La colorazione del bue in argento fu probabilmente adottata per armonizzare le tinte dell’arma.

NOTE

-(1: Sua Altezza Reale il Principe SISOWATH Ravivaddhana Monipong è nato a Phnom-Penh nel 1970; vive dal 1997 prevalentemente in Italia. Educato in Francia, è laureato in letteratura inglese contemporanea.

Qualificato studioso della storia e della cultura del Sud-Est Asiatico, ha pubblicato libri ed articoli sulla struttura sociale e tradizionale della Cambogia e la genealogia della Casa Reale Khmer a cui appartiene.

E’ studioso di araldica. Dopo una carriera commerciale in grandi gruppi multinazionali, collabora quale esperto e consulente da diversi anni con le Nazioni Unite (WFP, FAO, IFAD). Nel rafforzamento della cooperazione inter-agenzie ha avuto occasione d’intervenire alle attività congiunte, con l’UNESCO, l’UNICEF, WHO.

E’ stato rappresentante del Ministero del Turismo del Regno dal 2004 per la promozione della cultura cambogiana.

E' stato incaricato delle relazioni pubbliche del Balletto Reale in Francia, dal 2003 il Balletto Reale di Cambogia è stato riconosciuto dall’UNESCO “Patrimonio Immateriale dell’Umanità”.

Nel frattempo ha studiato canto con maestri del Palazzo e ha tenuto concerti per France Culture e tra gli altri, in Italia, a Palazzo Farnese e all’Accademia di Francia a Villa Medici. E’ stato invitato più volte in Europa a tenere conferenze sulla cultura Khmer.

Nel campo dell’informazione collabora con France 2, France 5, Canal+, Europe1 e diverse testate giornalistiche.

E' stato elevato alla dignità di Ambasciatore della Real Casa di Cambogia con rango di Sotto-Segretario di Stato da Sua Maestà Norodom Sihamoni, Re di Cambogia, per Decreto Reale in data del 2 Maggio 2016.

-(2: La devozione a S. Giovanni Grisostomo, Santo bizantino, espressa dal nome Grisostomo potrebbe essere un retaggio delle tradizionali origini greco-bizantine della casata.

-(3: Antonio di Nicolò; Cronaca della Città di Fermo; pubblicate per la prima volta da Gaetano De Minicis nel 1870; Andrea Livi Editore – 2008 – pgg. 76, 113, 181).

-(4: Già citato: Antonio di Nicolò; Cronaca della Città di Fermo; pubblicate per la prima volta da Gaetano De Minicis nel 1870; Andrea Livi Editore – 2008 - pgg. 92, 195).

-(5: Annali della Città di Fermo; Edizione critica e annotazioni di Gaetano De Minicis (1870); Annali della Città di Fermo di Giovan Paolo Montani - Andrea Livi Editore – 2009 - pg. 28).

-(6: Annali della Città di Fermo; Edizione critica e annotazioni di Gaetano De Minicis (1870); Annali di Fermo d’Autore Anonimo – Andrea Livi Editore – 2009 - pg. 57).

-(7: Già citato: Annali della Città di Fermo; Edizione critica e annotazioni di Gaetano De Minicis (1870); Annali della Città di Fermo; di Giovan Paolo Montani - Andrea Livi Editore – 2009 - pgg. 35,66).

-(8: Già citato: Annali della Città di Fermo; Edizione critica e annotazioni di Gaetano De Minicis (1870); Annali di Fermo d’Autore Anonimo - Andrea Livi Editore – 2009 – pgg. 59, 73, 75).

-(9: Cfr. Guida alla provincia di Ascoli Piceno compilata per cura della Sezione Picena del C.A.I., Ascoli Piceno 1889, pg. 322.

-(10: Dalla raccolta di “Memorie Patrie” del Conte Eufemio Vinci: Archivio Vinci, oggi nella Biblioteca Civica di Fermo – pagina autografa: "La suddetta Bastiana A. donò a Grisostomo B. nipote il patronato de’ benefizi de’ SS Nicola e Paolo in Ecclesia San Bartholomici [Sancti Bartholomei] Firmi, e di San Tomasso in San Zenone, e di S. Vittoria, e del Corpo di Cristo in detta Chiesa di San Zenone di Fermo”).

-(11: Già citato: Annali della Città di Fermo; Edizione critica e annotazioni di Gaetano De Minicis (1870); Annali di Fermo d’Autore Anonimo - Andrea Livi Editore – 2009 - pg. 133).

-(12: Nomina, da parte del Comune di Camerino, a Podestà della città di Girolamo Grisostomo per un semestre; Sezione Archivio di Stato di Camerino, Comunale di Camerino, Riformanze -1555-1565- A 25).

-(13: Rivista del collegio Araldico: Famiglie nobili di Nepi Roma presso il Collegio Araldico - 1943 - pg. 206).

-(14: Si veda: L. DI LINDA, M. BISACCIONI, Le relationi et descrittioni universali et particolari del mondo, Venezia 1672, pg. 397, che elenca le famiglie patrizie di Fermo: Le famiglie nobili di Fermo sono Adami, Altocomandi, Ambrosij, Arbustini, Azzolini, Barabucci, quasi estinti, Bartolotti, Bartacchini, Bevilacqua, Briscia, Brancadori, Calabri, Caluci, Careli, Cecichi, Cordella, Corsi, Costantini, Doria, Facci, Falconi, Ferranti, Gigliucci, Grassi, Grisostomi, Guerrieri, Helij, Luccili, Mancini, Martelli, Matteucci, Montani, Monti Mori, Morichi, Mortoni, Nobili, Olivieri, Orlandi, Paccaroni, Pacini, Palmieri, Pernessi, Piergiovanni, Potti., Rainaldi, Ricciardi, Riccamadori, Ricci, Rosati, Ruffi, Sabbini, Sanguigni, Santoni, Sauini, Scatoni, Sciaura, Semmbronij, Spaccasassi, Spinucci, Tassoni, Tornaboni, Vigoritij, Victorij.

-(15: Si veda C. ARNONE, I predicati territoriali nobiliari e le nobiltà civiche riconosciute della regione marchigiana, in: Rivista Araldica, 1950, pg. 208: “Non mancarono i titoli non nascenti da concessione, ma sorti da lungo uso, specie quello di conte… per la consuetudine formatasi, dopo il 1816, di attribuire ai patrizi il titolo di conte, sull’esempio del governo austriaco, che si dimostrò disposto a concedere detto titolo a quei patrizi veneti che ne avessero fatto richiesta.

Detta consuetudine mirava in realtà a far distinguere le antiche famiglie, che avevano goduto del possesso perenne di un posto originario nel consiglio civico, partecipando ab antiquo alla sovranità del comune, da quelle che, dopo la restaurazione del 1815, furono chiamate a far parte dei consigli civici, fossero stati prima nobili o non nobili. Il governo pontificio approvò e sanzionò quest’uso, ma la monarchia italiana non volle riconoscere la consistenza giuridica di detti titoli. Inoltre, dopo varie incertezze … finì col non riconoscere il titolo di conte palatino concesso, per delega degli imperatori e del papa, dalla famiglia Sforza, dai cardinali, patriarchi, arcivescovi, vescovi, dalle università degli studi, da taluni collegi nobili”; ed anche C. ARNONE, Il patriziato e la nobiltà di Ancona nel 1847, R.A. 1951, pp. 40-41, edizione di un mss. datato 1847 elencante i patrizi e nobili di Ancona allora viventi: “Il manoscritto dà così la dimostrazione … che … in quasi tutte le città della regione stessa i Patrizi assunsero per consuetudine dopo il 1816 il titolo di Conte, e che i titoli nobiliari, qualunque fosse stata la forma di trasmissibilità nella concessione … venivano assunti da tutti i membri della stessa famiglia … Spero che questo studio varrà a convincere taluni Patrizi degli ex Stati della Chiesa della inutilità di loro ricerche per trovare una formale concessione del titolo di Conte, che non ha mai avuto luogo, in favore dei loro antenati”.

-(16: I Travaglini patrizi di Osimo sono ritenuti di comune origine con i Travaglini di Ferrara, da cui derivano i conti Travaglini di Bologna e quelli di Urbino. Decorati di titolo marchionale in seguito all’eredità della famiglia Corvi (Travaglini-Corvi) *a) e comitale, quelli di Spoleto (patrizi di Spoleto), poi conti Zacchei Travaglini *b) questi ultimi estinti all’inizio del ‘900. I Travaglini di Urbino (al servizio dei Montefeltro), da cui originano quelli patrizi di Osimo, indicano come capostipite Francesco di Martino (Cives Auximano), vivente verso la metà del XV sec. e giunto ad Osimo da Urbino.

*a) [Jacopo Gelli: “Gli ex libris italiani” ed. Hoepli – pg. 142].

*b) [Vittorio Spreti: “Enciclopedia storico-nobiliare italiana, vol. VI – Milano, 1932 – pgg. 985, 986].

Figlio di Francesco Travaglini è Lodovico, da cui Pier Leopardo, da cui Massimiliano (cavaliere Lauretano), da cui Pietro Francesco (Pier Francesco)*.

*[Albero genealogico Travaglini con annotazioni; Archivio Guarnieri - Archivio Storico-Comunale di Osimo - Busta 26 n.41].

Nel corso dei secoli i Travaglini di Osimo ebbero nel territorio (ad esempio Offida e Montegiorgio) cariche civiche (podestà, governatore, etc.).

Fra i canonici della famiglia Travaglini ricordiamo Francesco, canonico della Cattedrale di Osimo (1532); Claudiano (1563); Massimiliano (che rinuncia nel 1667); etc., sino a Raffaele Travaglini (inizio '800 canonico metropolitano di Fermo). Ricordiamo inoltre Lodovico, colonnello delle milizie del Duca di Urbino, e suo fratello maggiore Francesco, canonico del Duomo di Osimo. Pietro Francesco (Pier Francesco) di Massimiliano fu Podestà a Ripatransone nel 1586 e nel 1604 *a) e ascritto a quella nobiltà nel 1586 *b).

*a) [«Pierfrancesco dottore di legge (…). Questo fu cittadino di consiglio (…), però non s’ingerì mai in cose pubbliche, fu podestà della Ripa transona, di Trevi, e luogotenente civile di Fermo». Notizie riguardanti la famiglia Travaglini tratte dal Miscuglio di diverse memorie, lettera I (cc. 19 e 78), di Flaminio Guarnieri (1607-1684) conservato nel fondo manoscritti della Biblioteca Comunale di Osimo. Trascrizione del professor Luciano Egidi].

*a.bis) [Dall’albero genealogico dei Travaglini (Osimo): “Pierfrancesco” ( trascrizione del manoscritto a cura del professor Attilio De Luca, Preside dell’Università “La Sapienza” di Roma): « (…) A sinistra si dà l'anno di morte del personaggio (avvenuta nel suo 65° anno nel 1622) (…) Quindi, a sinistra: Petrus Franciscus | qui obiit ann(is) 65, | 9 febr(uarii) 1622 ...»].

*b) [Patente del 25-8-1604: Filippo Bruti-Liberati “Maria Benvignati…a Dio si dedicava – elenco di varii Podestà di Ripatransone commune patria” – Ripatransone Tipografia Comunale Jaffei, 1845 – pg. 13].

*b.bis) [G.M.Boccabianca: “Le Famiglie Nobili Ripane - La civica nobiltà ripana” - Ripatransone nel Piceno, per i tipi di A.Barigeletti, 1920 - pg. 59].

Il ramo di Osimo si estingue a metà del XVII sec. con Caterina Travaglini che sposa Giovan Battista Gallo, erede di Pietro Francesco, fratello di Caterina*.

*[Già citato: Archivio Guarnieri raccolta delle famiglie nobili osimane a cura di Aurelio Guarnieri (da studi di Flaminio Guarnieri, integrati da Aurelio Guarnieri). Autografo; Busta 26 n.41. Depositato Fondo nell’Archivio Storico-Comunale di Osimo)].

Da Pietro Francesco Travaglini a Ripatransone origina il ramo poi estintosi nei Grisostomi. Dalla fine del '500 quasi tutti i componenti maschi della famiglia sia di Osimo che di Ripatransone (e lo stesso a Montegiorgio) sono laureati nelle due leggi. Tra questi: Duorio (Honorio, laureato a Fermo il 25 luglio 1623), Francesco Maria (a Fermo il 3 aprile 1626), Vincenzo (a Fermo: 8 ottobre 1758), Francesco Saverio (a Fermo il 5 dicembre 1772) etc., e sino a Carlo di Ripatransone (documentato a Grottammare e Castel Marano), laureato nelle due leggi a Fermo il 28 agosto 1783*.

*[Gian Paolo Brizzi, Maria Luisa Accorsi: “L’Antica università di Fermo” – a cura della Cassa di Risparmio di Fermo, Silvana Editoriale, 2001 – Catalogo dei laureati pgg. 113 sino a 207; Indice cognomi pg. 217].

Carlo Travaglini: Accademico dei “Risvegliati del Tesino” (“repubblicano e poeta”), fece parte nel Consiglio comunale di Ripatransone nel periodo napoleonico e mantenne la nomina a consigliere anche successivamente, sino al 1821 quando abbandona per ragioni di salute per ritirarsi dal figlio Raffaele pievano presso la chiesa di San Giorgio, nel periodo tra la demolizione del vecchio edificio e la costruzione del nuovo; viene sostituito a Ripatransone quale consigliere dal figlio Giuseppe*.

*[Delegazione di Ascoli, Comune di Ripatransone N.313 – 1=(?).Maggio 1822. Elenco dei Consiglieri, che per lo più mancano intervenire alle pubbliche Adunanze: Travaglini Carlo. Domiciliato in porto S. Giorgio Delegaz. Di Fermo coll’intera Famiglia, e figlio, che copre l’Impiego di Pievano – Firmato il Gonfaloniere di Ripatransone].

Carlo Travaglini con la consorte Vincenza Rondini di Filotrano ebbe tre figli: Raffaele, Anna, Giuseppe. Raffaele (c. 1794; riceve la tonsura a Grottammare nella cappella di casa nel 1811, poi i 4 ordini minori a Fermo nel 1815, il suddiaconato a Montalto nel 1818, il diaconato lo stesso anno), pievano alla chiesa di San Giorgio, canonico di San Zenone, canonico metropolitano, sepolto presso la cripta del Duomo di Fermo. Giuseppe, avvocato, giudice e presidente del Tribunale di Ancona, Guardiano della “Confraternita della Morte” a Ripatransone, iscritto all’ ”Accademia Georgica” di Treia; sposa Maria Spina Pucci, senza figli. Il 17 febbraio 1824 con atto della Delegazione di Ascoli Piceno è nominato Governatore reggente del governo di Ripatransone*.

*[ASAP – Arch. Delagazione Apostolica di Ascoli, a. 1824, 3 12 fasc. - firma delle autorità].

Giuseppe dopo l’occupazione napoleonica chiede e ottiene di essere riscritto alla nobiltà di Ripatransone (8192. La Deputazione Araldica propone l’aggregazione di Giuseppe TRAVAGLINI al ceto nobile del Comune di Ripatransone)*.

*[Rescritto – 29 marzo 1834 – Dall’udienza di N.S. Si è degnato il Santo Padre di approvare il voto della Deputazione Araldica di Ripatransone ed ha ordinato che il Sig. Giuseppe TRAVAGLINI, sia ammesso al ceto nobile della suddetta citta. A.D. Card. Gamberini. Mon. Int. Tit. 33 vol. 287].

*[Vittorio Burattini, Carmelo Arnone - Dizionario della Nobiltà, dei Titoli e degli Stemmi delle Famiglie marchigiane - pg.56: “Travaglini Nob. di Ripatransone 1834”].

Giuseppe appare presente in Consiglio a Ripatransone in qualità di Consigliere per l’ultima volta nel 1868 (Consigli, tomo 89, 6 maggio 1868; ppg. 65-66) e si deduce morì l’anno successivo in quanto il suo testamento olografo venne “… letto il 10 dicembre 1869”*.

*[L’erezione della Diocesi di Ripatransone - Fano 1976 Ed Studia Picena - pg.126].

Sorella di Raffaele e di Giuseppe ed erede dei Travaglini di Ripatransone è Anna (Carmine, Anna, Annunziata, nata il 25 marzo 1804), coniugata con Vincenzo Saverio (13 novembre 1794 + c. 1853) di Emidio Grisostomi, che trasmette cognome e titolo dei Travaglini al figlio Emidio Raphael Grisostomi-Travaglini (battezzato a Castel Marano 8 maggio 1830 + Fermo 26 dicembre 1903).

-(17: Tra le più antiche famiglie patrizie di Fermo, non si hanno però notizie sicure sulle origini dei conti Grassi; diverse le ipotesi sulla provenienza della casata, ma tra le più attendibili è quella della provenienza da Firenze, ipotesi avanzata da Padre Giuseppe Avarucci, che afferma che tre fratelli Grassi (Giotto, Morello e Zuccarino) fuggiti da Firenze si rifugiarono verso fine del 1200 in un primo momento a Santa Vittoria, ed in seguito a Fermo. Il fatto che un ramo è tutt’ora residente e fiorente a Force, sito a poca distanza da Santa Vittoria, potrebbe essere una conferma indiretta di quanto si legge nel testamento di Giotto Grassi risalente al 1323: «reliquit loco San Franciscj de Furcia pro fructibus et rebus male ablatis in disctrictu castri Furci tre libras denariorum parvolorum», ritrovato da P. Avarucci a Macerata dove fu istituito un «processo diocesano» per la beatificazione di P. Antonio Grassi.

I primi personaggi noti della casata sono Simone Grassi, ambasciatore di Fermo a Pio II a Roma nel 1459 e Giacomo, valoroso uomo d’armi vivente nel 1486; l’alta carica di Simone Grassi testimonia il prestigio della casata, visto che cariche simili erano affidate solo a persone di famiglia patrizia antica e ragguardevole. Numerosi gli esponenti della famiglia che ricoprirono cariche primarie a Fermo ed altrove, e gli ecclesiastici ascritti ai più illustri collegi canonicali; citiamo tra gli altri D. Domenico (1653 + 1715), giureconsulto, a cui il Sommo Pontefice Innocenzo XI conferì il Canonicato del Duomo di Fermo; Antonio II (1689 + 1775), che nel 1741 fu nominato Cameriere Segreto d’Onore di Cappa e Spada di Sua Santità, alla quale carica della Corte Pontificia era annesso il privilegio della contea palatina, titolo che venne in seguito trasmesso ai discendenti; Antonio III (1787 + 1849), nel 1817 Capitano delle truppe Provinciali, nel 1828 Mandatario del S. Uffizio a Force e Deputato ai pubblici spettacoli, fu promotore della costruzione del magnifico teatro dell’Aquila; nel 1829 Podestà di Force, nel 1831 Ambasciatore di Force a Papa Gregorio XVI; Anziano nella città di Fermo nel 1813-22-27-29 e 31; in relazioni familiari con la più alta aristocrazia romana e specialmente con la Principessa di Sassonia-Altieri, con la Principessa di Bracciano, con i Cardinali Brancadoro, Bernetti, Ferretti, Micara, Consalvi ed altri, i quali avevano di lui una stima altissima; eccellente pittore e poeta, fu assassinato dai liberali per la sua integra fedeltà al Pontefice; Mons. Francesco Saverio (1819 + 1888) fu consacrato Vescovo titolare di Aulona e nominato Ausiliare dal Card. Filippo De Angelis, Arcivescovo e Principe di Fermo, fu Vicario Capitolare dell’Arcidiocesi di Fermo. Nel 1797 il Papa Pio VI concesse il privilegio dell’oratorio privato nella residenza dei fratelli Grassi Fonseca, e nel 1799 l’erezione ad altare privilegiato, insieme al dono di diverse reliquie in preziosi reliquiari. La genealogia accertata della famiglia inizia con Vincenzo Grassi (+ 1604), che sposò Francesca dei conti Paccaroni, genitori della gloria della casata, il Beato Antonio Grassi, Oratoriano (1592 + 1671), celebre per santità ai suoi tempi e beatificato dal Papa Leone XIII nel 1900. Si ricorda inoltre Suor Maria Costanza (1628 + 1682), monaca professa in Santa Marta, morta in odore di santità*.

*[La Voce delle Marche: “Ricordo e venerazione per il Beato Antonio Grassi”; L. Mancini Spinucci “La famiglia del Beato” - 12 dicembre 1971; pg.2 – Lorenzo Mancini-Spinucci di Milanow è figlio di Edgardo Mancini-Spinucci e di Emma Grassi-Fonseca, sorella minore di Maria Lucia – famiglia estinta].

La famiglia si alleò con le più illustri casate della nobiltà fermana e marchigiana, tra cui ricordiamo i Paccaroni, i Falconi, i Raccamadoro. Antonio Grassi (1689 + 1775) sposa in prime nozze Margherita Carrara di Pietro Paolo Carrara (Fano 1684 + Fano 28 settembre 1759) e della piacentina Antonia Maria Anguissola, da cui Anna Francesca Grassi che sposa nel 1775 Domenico Raccamadoro, bisnonni di Aloysia Raccamadoro che sposa il 20 aprile1864 Emidio Grisostomi-Travaglini. Antonio Grassi sposa in seconde nozze Laura Fonseca-Galli (c. 1721 + 1787) di Roma; loro figlio Lorenzo aggiunse al suo nome quello dei marchesi Fonseca, assumendone per imposizione l’eredità araldica (Vedi nota *18: Fonseca). Erede di Lorenzo Grassi-Fonseca è Antonio (1787 + 1849); in seguito al suo matrimonio con Maria Lucia Pascucci-Quatrini (1788 + 1855), ultima della sua casa, la più antica e nobile delle casate di Force, la famiglia Grassi-Fonseca ne divenne erede. Tra i loro figli: Francesco Saverio, Vincenzo Giulio e Antonio Luigi. Francesco Saverio (23 maggio1819 + 4 gennaio 1888); consacrato il 28 settembre 1873 Vescovo titolare di Aulona e il 10 ottobre 1873 dello stesso anno nominato Ausiliare Cardinale Filippo De Angelis, Arcivescovo e Principe di di Fermo; alla morte del Cardinal De Angelis, venne nominato Vicario Capitolare dell’Archidiocesi di Fermo; sepolto nella Cappella degli Arcivescovi di Fermo. Vincenzo Giulio (26 giugno 1823 + 5 settembre 1883) a cui farà capo il ramo di Force. Antonio Luigi (30 gennaio 1831 + 27 gennaio 1904); a cui farà capo il ramo di Fermo, sposa Teresa Lepri di Force (Force 15 ottobre 1840 + 31 agosto 1911); ad Antonio Luigi si riferisce, nella storia della famiglia Grassi-Fonseca, l’incontro con il Pontefice Leone XIII in occasione della beatificazione di Antonio Grassi. Alla fine del XIX sec. la casata si divise in due rami, il primogenito tutt’ora fiorente da Vincenzo Giulio e il secondogenito da Antonio Luigi. Antonio Luigi con la moglie Teresa Lepri ebbe svariati figli tra cui il primogenito Pietro (9 agosto 1854) coniugato con Anna Pomponi-Cornacchia, il cui unico figlio Lorenzo (1 aprile 1897 + 15 ottobre 1918) morì durante la Grande Guerra. Amilcare (20 dicembre 1883); uno dei primissimi aviatori d’Italia, il suo brevetto di pilota risale al 1911; morì a Parigi senza aver contratto matrimonio. Arturo (27 gennaio 1878); sposò in Bolivia il 15 maggio 1915 la Marchesa Cecilia Irigoyen (+ c. 1932); senza figli. Alla morte di Cecilia Irigoyen de Grassi-Fonseca e prima del 12 gennaio 1938 Arturo è ordinato sacerdote; gli viene conferita la dignità di Archimandrita; appose allo scudo Grassi-Fonseca il motto: “Labor Improbus Omnia Vincit”. Primogenita tra le figlie femmine è Maria Lucia (Force 1 marzo1868 + Fermo 7 settembre 1954); sposa il 1° marzo 1868 Giuseppe Grisostomi-Travaglini*.

*[“Alcune notizie sulla Famiglia Grassi-Fonseca… ricavate dai pochi documenti che ancora rimangono e specialmente da un libro di Casa Grassi del 1738, riordinate da me Arturo Grassi-Fonseca. Cochabamba 18 Febbraio 1927". - Archivio privato].

In seguito a questo matrimonio il casato confluisce nei Grisostomi-Travaglini e si trasmette al figlio di Giuseppe e Maria Lucia: Vincenzo. Per volontà di Antonio Luigi Luigi Grassi-Fonseca e a suggello della continuità della famiglia, la figlia Maria Lucia volle che suo padre Antonio Luigi fosse tumulato nella tomba dei Grisostomi-Travaglini a Fermo, dove il suo corpo riposa tutt’ora.

-(18: I marchesi Fonseca, romani hanno origini spagnole e portoghesi e si stabilirono a Roma al seguito del cardinale Pietro Fonseca*.

*[“(…) Le Cardinal Pierre Fonseca, mort à Rom le 21 Août 1422, attira dans cette Ville, Antoine Fonsecà son parent, qui fut agrégé à la Noblesse Romaine, & qui mourut à Rome où il fut inhumé dans une Chapelle qu’il avoit fondée dans l’Eglise de St. Jacques de la Nation Espagnole. (…)”- Historire de la Noblesse du Comté-Venaissin, d’Avignon. Et de la Principauté d’Orange, Tome premier – Paris 1743 – pg.260].

*[Fonseca. Famiglia nobile di origine portoghese, che si stabilì a Roma di seguito a un Pietro, cardinale nel 1418 e morto ne 1422” – Claudio Rendina, Le grandi famiglie di Roma, volume primo. Newton Compton editori, Roma 2006 - pg.340].

Creato diacono cardinale di S.Angelo da Papa Martino V, legato a latere a Costantinopoli per l’unione della chiesa greca, il cardinale Pietro Fonseca morì a Vicovaro nel 1422; è sepolto nelle grotte vaticane*.

*[Dizionario di erudizione Storico-Eclesiastica del cavaliere Gaetano Moroni Romano – Venezia Tipografia Emiliana 1845 - pag. 15].

A Roma si stabilì dal 1542 al 1555 Jacomé de Fonseca da Lamego (mercator Portugallensis Romanam curiam sequens) e successivamente suo fratello Antonio (Lamego 25 dicembre 1515 + Roma 14 febbraio 1588) con sua moglie Antonia Luis (+1592). Fratello di Antonia è Diego Luis (probabilmente di origine ebraica, convertito con il nome di Diego Luis Fonseca). Figlio di Diego Luis Fonseca e di Filippa Nunez è Rodrigo ( + 1622) che viene battezzato e “affiliato” dallo zio Antonio Fonseca e da questi prende il nome di Rodrigo Fonseca. Rodrigo è titolare di cattedra nelle facoltà di medicina di Pisa e successivamente di Padova, autore tra l’altro del trattato “Medicinam Ordinariam in Alma Pisana Academia Publice Profitentis”*.

*[Venezia presso Franciscum de Franciscis Senensem, 1595].

Dalla moglie Isabella Cardosa Gomez, Rodrigo non ha figli e chiama a Pisa da Lamego suo nipote Gabriel Fonseca, nome poi italianizzato in Gabriele (Lamego fine febbraio 1586 + Roma 1668)*.

*[Da un autografo di Gabriele Fonseca: (Ab ipsomet die 6 martii 1657 (fol. 226 r). «(…) Circa donque la nascita mia dirò come io sono nato nel Regno di Portogallo nella città di Lamego nell’anno 1586 nel fine del mese di febraio come consta dalla fede del Batesimo che io ho, et se bene mio padre chiamato Diego Rodriguez Fonseca fosse nato nella città di Lisbona come pure mia Madre chiamata Isabella Gomez et vivessero in essa, fu però dal Re mandato a detta città di Lamego con carica di thesoriero Regio, offitio di stima, et questo in risguardo di haver li nostro antepassati servito nelle guerre con offitii honorati li Re di Portogallo per li quali servitii furono premiati con esser annoverati fra li gentilhuomini nibili di palazzo con la parte per loro et suoi descendenti. Mia madre, come dico, fu gentildona et parente di un certo Antonio Fonseca che fondò una capella in San Iacomo delli spagnoli con lascita di sei dote de cinquanta scudi l’una intitulata la Resurretione, che ancor qui in Roma vi sono molte persone che cognoscono la sua persona et nascita. Restai in tenera età senza padre di maniera che a mala pena lo conobbi et così fui subito chiamato a Pisa da un mio zio chiamato Roderigo Fonseca, lettore insigne di Medicina, che dapoi fu chiamato alla prima lettura di Medicina di Padova (…) il quale è ben noto per le molte opere da lui stampate et così ben ricevute per tutto che di molte d’esse vi è già la settima edizione della qualità del quale ne (sic) (226 v) et molta stima che il Gran Duca Ferdinando ne faceva (…) Devotissimo et obligatissimo Servitore / Gabriele Fonseca» (Cartari Febei, 64, fols. 226 r-227 v, Archivio di Stato di Roma)].

A Roma Gabriele ricoprirà importanti cariche tra cui quello di archiatra di Papa Innocenzo X Pamphilj. Fu committente a Lorenzo Bernini della cappella Fonseca posta nella chiesa romana di S. Lorenzo in Lucina (1660 - 1664) dove n’è conservato il busto in marmo di mano del celebre scultore. Da Gabriele con sua moglie Isabella Cardosa Gomez nascono: Gaspare, Baldassarre, Anna, Antonia, Olimpia. Gaspare (Gasparo Francesco) è nominato erede universale dal padre. Sposa Caterina Pegni, senza figli*.

*[«In Dei nomine amen. Anno salutis 1668, die vero vigesimaseptima mensis martii, tempore pontificatus sanctissimi in Christo patris domini nostri domini Clementis pape noni, anno eius primo. Io Gabrielle Fonseca, (…) lascio che in tutti e singuli miei beni tanto mobili come stabili, raggioni, crediti, luoghi de’ monti, nome de’ debitori et attioni in qualsivoglia modo e luogo posti et esistenti appartenenti a me testatore e sotto qualsivoglia titolo spettanti et in avvenire mi potessero spettare et appartenere, sia et essere debba mio universale herede Gasparo Francesco Fonseca, mio figlio legitimo e naturale, e per tale l’instituisco e di propria bocca nomino, al quale sostituisco in infinito et in perpetuo per conservatione della mia casa Fonseca (…)». (Archivio Storico Capitolino di Roma, Trenta Notai Capitolini, Sez. 19, Not. J. B. Rondinus, Busta 56, Testamenta & Donationes ab anno 1667 usque 1672)].

Gabriele stabilisce nello stesso documento le regole della successione Fonseca nel caso di mancanza di prole da suo figlio Gasparo, sia essa successione per linea maschile o in mancanza di questa per linea femminile*.

*[«(…) E morendo in qualsivoglia tempo Gasparo Francesco Fonseca, mio figlio, senza figli legitimi e naturali e di proprio corpo nati voglio che, essendoci di detto Gaspare figlie femine legitime e naturali, succedano esse et i detti loro figlioli maschi legitimi e naturali e di loro proprio corpo nati et i loro descendenti in infinito in stirpes et non in capita con questo, che siino obligati ritenere il cognome et arme della famiglia Fonseca senza misura di altro cognome et arme, e quello possino mai lasciare anche con dispensa del principe, volendo in tal caso che decadano dalla mia heredità e vada come disporrò a quelli che osservaranno la mia volontà, cioè all’altri maschi delle femine sudette descendenti et, in difetto loro, come sostituirò appresso e, mancando le sudette figlie|femine del detto signore Gasparo Francesco, mio figlio, senza figlioli maschi come sopra, sostituisco e voglio succedano le di loro figlie femine legitime e naturali nate e da nascere di loro proprio corpo e loro descendenti in infinito maschi sempre in stirpes et non in capita con li pesi sudetti del cognome et arme della casa Fonseca come ho detto con questo che sempre siino preferiti i maschi in concorso et in difetto di maschi le femine e mancando Gasparo, mio figlio, senza figli legitimi e naturali tanto maschi quanto femine come sopra e loro descendenti finita la sua linea masculina e feminina e loro descendenti come sopra, opur morendo esso Gasparo senza figli legitimi e naturali, in tal caso sostituisco e voglio che succeda prima nell’usufrutto e nella proprietà ancora il sopradetto mio figlio Baldassarre Fonseca sua vita durante e doppo la di lui morte, o anche premorendo a Gasparo Francesco Fonseca, mio figlio, detta mia heredità e beni tanto nell’usufrutto come nella proprietà, voglio che succedano e sostituiscano tanto a Baldassarre quanto a Gaspare Fonseca tanto a’ maschi quanto a’ femine come sopra chiamati et ultimo di loro per la metà il figliolo maggiore d’età della buona memoria di Anna Fonseca, mia figliola maritata al signor Ludovico Panizza che si chiama signor Gioseppe, e per l’altra metà li figlioli maschi del signor Francesco Galli e loro descendenti maschi in infinito con le medesime condizioni come sopra, volendo che sempre uno di loro, cioè il figlio sudetto di detto signore Panizza come dal signore Galli e loro descendenti chiamati a questa mia heredità in|infinito, debba portare il cognome et arme della casa Fonseca e, mancando qualcheduno di loro, voglio che succeda l’altro con dette conditioni e, mancando loro maschi, succedano le femine e loro descendenti in infinito con le sopradette conditioni e, mancando loro maschi, succedano le femine e loro descendenti in infinito con le sopradette conditioni, salva sempre la prerogativa del sesso mascolino in stirpe e non in capita, con li medesimi pesi di arme e cognome come sopra nella metà che li toccarà (…). Io Gabrielle Fonseca testo e dispongo come sopra manu propria / Ego Vincentius Candidus interfui ut supra Iohannes Baptista Rondinus notarius rogatus». - Già citato: Archivio Storico Capitolino di Roma, Trenta Notai Capitolini, Sez. 19, Not. J. B. Rondinus, Busta 56, Testamenta & Donationes ab anno 1667 usque 1672)].

Anna Fonseca figlia di Gabriele sposa Lodovico Panizza, da cui Giuseppe Panizza (Giuseppe Fonseca detto Panizza), da cui Pietro Fonseca-Panizza, ultimo dei Fonseca-Panizza. Alla morte di Gaspare come previsto dal testamento di Gabriele Fonseca, erede è il di lui fratello Baldassare (+ 1691), Canonico di Santa Maria in Cosmedin e dal 17 gennaio 1649 Canonico di Santa Maria Maggiore, che nomina successore la sorella maggiore Antonia (+1711) che aveva sposato Prospero Argoli, senza figli; Antonia nomina erede la sorella Olimpia (Olympia) che aveva sposato Francesco Galli da cui: Marianna (Maria Anna), Laura Olimpia, Lorenzo. Lorenzo Galli-Fonseca è altrimenti citato quale Lorenzo Fonseca-Galli, in quanto erede sia dei Fonseca (per testamento del nonno Gabriele Fonseca) che dei Galli. Lorenzo sposa nel 1707 Maria (Marietta) Delfini di Venezia, di Piero (21 gennaio 1636 + 26 gennaio 1709) e di Laura Dandolo (sposata nel 1667)*.

*[I Dolfin (Delfino); Patrizi veneziani nella storia di Venezia. Seconda edizione di N. 100 esemplari numerati -Milano – 1924 - pg.94].

Di lei si scrisse: “Maria degna della famiglie Delfina e Dandola da cui discende”. Da Lorenzo Galli-Fonseca o Fonseca-Galli e Maria Delfini, l’unico figlio maschio è Pietro Galli-Fonseca o Fonseca-Galli (+19 marzo 1767), che sposa Angela Lana; senza figli. Figlie femmine di Lorenzo e Maria sono: Marianna Galli-Fonseca (circa 1710/12 + 10 ottobre 1769), sposa nel 1731 Giuseppe Zucconi, cavaliere di Malta il 2 gennaio 1731, da cui Venanzio Zucconi-Galli-Fonseca, cavaliere di Santo Stefano; sorella minore è Laura Olimpia Fonseca de Gallis (Roma c. 1721 + all’età di 66 anni ad Apiro il 7 maggio 1787)*.

*[marchesa Laura Olimpia Fonseca de Gallis: così è citata in molti documenti notarili dell’epoca presso l’Archivio di Stato di Roma].

Laura Olimpia sposa Antonio Grassi prima del 1746, da cui Lorenzo, poi Grassi-Fonseca. Tra le due sorelle Marianna e Laura Olimpia si apre una vera e propria disputa sull’eredità dei Galli e dei Fonseca, per la trasmissione non tanto dei titoli, dei cognomi dei marchesi Galli e dei marchesi Fonseca, ma sui profitti dei fidecommessi a questi legati; oltre la titolarità di un canonicato nella basilica di S. Lorenzo in Lucina. Laura reclama per sé e per i suoi eredi i diritti di discendenza così come stabilito dal testamento del nonno Gabriele Fonseca (già citato:«…et i loro descendenti in infinito in stirpes e non in capite» / “Non solo per se stessi, ma per la linea diretta che ne discende»), mentre Marianna, avvalendosi del testamento della zia Antonia Fonseca-Arborì che aveva modificato i termini della successione così come era stata stabilita dal padre, vanta per sé e per i suoi eredi l’intera eredità pretendendola unicamente legata alla sua primogenitura. Antonia nel suo testamento sostiene, infatti, di poter disporre liberamente dei beni acquisiti in quanto questi sono stati ereditati prima dal fratello Baldassarre e poi da lei medesima, dispone inoltre alla morte del nipote Pietro l’asse ereditario dei Galli. Antonia Fonseca-Arborì in mancanza di discendenza maschile a differenza del testamento del padre Gabriele lega l’eredità esclusivamente alla primogenitura femminile: « (…) e arcando la linea maschile chiamò tra le femmine la primogenita nello stesso modo e forma in cui aveva disposto dei maschi …» (e mancando affatto la linea maschile succede la primogenita delle femmine (…)*.

*[Decisiones Sacrae Rotae Romanae, Tomus primus – Roma 1787 - Lunae 5.Julii 1773 - Decisio L - pgg. 157 a 160)].

La Sacra Rota Romana con diverse sentenze diede ragione a Marianna*.

*{ [(Traduzione in italiano dal latino) «Antonia Fonseca, con il testamento vigente la quale decedette nel 1711, istituita erede la sorella marchesa Olimpia Fonseca Galli, a questa sostituì Lorenzo Galli, primogenito della detta Olimpia nonché i figli maschi che sarebbero per nascere da Lorenzo in ordine di primogeniture, e, mancata la linea maschile, volle che succedesse allo stesso modo la femmina primogenita, e avesse a disporre dei maschi. Venuto a mancare con il Marchese Pietro Galli nel 1767 la linea maschile di Lorenzo, la Marchesa Maria Anna Galli Zucconi, sorella di Piero, quale femmina primogenita, interpellati tutti i debitori, sul censo primogeniturale insistette dinnanzi a A.C. affinché la riconoscessero signora di quello. Simile riconoscimento pretendeva anche la Contessa Laura Galli Grassi, altra sorella secondogenita; ma A.C. , respinta questa, dispose che i debitori corrispondessero il censo al Marchese Venanzio Zucconi unico figlio di Maria Anna morta nel corso della lite. Appellante tuttavia la Contessa Laura, indirizzò una interrogazione al Tribunale della Segnatura (…)». - (già citata: Decisiones Sacrae Rotae Romanae, Tomus primus – Roma 1787 - Lunae 5.Julii 1773, Decisio L – pgg. da 157 a 160]. [Altre sentenze riguardanti l’argomento: =Decisiones Sacrae Rotae Romanae, Tomus tertius - Urbini 1728 – Mercurii 26.Julii 1720 – Decisio DCX - pgg. 619 a 622/. =Sacrae Rotae Romanae Decisiones Supremae, Tomus primus - Romae 1751 – Veneris 26. Januarjj 1685 - Decisio CXXXIV - pgg. 213 a 215/. =Decisiones Sacrae Rotae Romanae, Tomus secundus - Roma 1788 – Decisio CLVII - Lunae 14.Aprilis 1777 - pgg. 211 a 214/. Etc.] }.

Questo, sino al 17 settembre 1786 (circa 17 anni dalla morte di Marianna e un anno prima della morte di Laura Olimpia) quando venne riconosciuto il diritto a Laura di trasmettere il nome Fonseca ai di lei eredi. Dal 17 settembre 1786, un anno prima della morte della madre, gli viene imposto (a Lorenzo Grassi, di lei figlio e di Antonio Grassi) di aggiungere con “pubblico strumento” il cognome Fonseca di cui è erede, pena la decadenza dell’eredità*.

*{ “Con pubblico strumento [in] data 17 settembre 1786 Lorenzo I -Grassi- fu obbligato di assumere il cognome Fonseca fatto pensa [sotto pena] di caducità” – V. lettera di Lorenzo II [ v. 625 nel nuovo archivio- Fermo: Archivio Mancini-Spinucci]” – (trascrizione del manoscritto a cura del professor Attilio De Luca, Preside dell’Università “La Sapienza” di Roma) }.

Da quel momento il nome Fonseca seguirà sempre quello dei Grassi*.

*[“Fuvvi, però, facoltà di battere nuovamente moneta in Fermo, accordata in vigore di un chirografo pontificio dell’immortale Pio VI del 13 febbraio 1796: e si diè la concessione del coniarle al conte Lorenzo Grassi Fonseca patrizio di essa città (…)”. Giornale Arcadico di scienze lettere ed arti, tomo LXXXI. Cenni storici di Fermo – Roma 1839 - pg.267). (“Lorenzo Grassi Fonseca, conte” - Giuseppe Mazzatinti - Gli archivi storici della storia d’Italia, Archivio storico comunale di Ancona – 1911 - pg.450). (“283, 1799, ag 7. «Lorenzo Conte Grassi Fonseca, per la Marca di Fermo ed Ancona Commissario generale deputato dalla Reggenza Imperiale, reale Pontificia», concede ai deputati di Matelica «di organizzare il Governo Monarchico conforme allo stile Papale» nominandovi intanto per Governatore provvisorio il dottor Alessandro Graziani”. Giuseppe Mazzatinti – Gli archivi della storia d’Italia, vol. VII – 1988 Georg Olms Verlag Hildesheim . Zurich . New York – Rocca San Casciano Licinio Cappelli – editore 1911 - pg. 423). Etc.].

La casata, oltre al giuspatronato della loro cappella, era anche titolare del canonicato della Cappella Fonseca nella Basilica di S. Lorenzo in Lucina a Roma, che viene assunto dagli eredi Zucconi-Galli-Fonseca e Grassi-Fonseca*.

*[«(…) negli atti della Visita Apostolica del 1824 “Antonio Fonseca da Fermo (ndr: qui ci si riferisce ad Antonio di Lorenzo Grassi-Fonseca da Fermo), e Giuseppe Zucconi di Camerino espongono godere il Padronato di una Cappella in S. Lorenzo in Lucina, quale ha bisogno di pronti ristauri come Perizia dell’Architettoquale la fa ascendere a sc. 200 circa (…)“». (A.S.V., Sacra Congregazione della Visita Apostolica, b. 31, Acta Sacrae Visitationis Leonis XII, anno Domini 1824. Pars seconda, c. 177. Riportato in: Studi di storia dell’arte - Bruno Contardi: “Precisazioni sul Bernini nella Cappella Fonseca” - EDIART – 1990 - pg 277)].

Nel 1849 avendo entrambi gli eredi Fonseca rinunciato, i padri di San Lorenzo concederanno la cappella al Cavaliere Antonio De Winten.

-Antonio Fonseca (10 novembre 1690 ad Avignone: “oriundo romano” + 9 dicembre del 1763), ordinato sacerdote nel 1721 dallo zio Antonio Fonseca vescovo di Tivoli, canonico di San lorenzo in Damaso, consacrato vescovo di Jesi da Benedetto XIII nel 1724 (all’età di 34 anni) è un cugino dei Fonseca del ramo di Gabriele in quanto discendente da Antonio Fonseca da Lamego, sopra citato. Questo ramo dei Fonseca che è documentato per in lungo periodo ad Avignone, si estingue a cavallo tra Settecento e Ottocento con i figli di Simone Fonseca (1686 + ante 1749) avuti con la moglie Margherita nata Vitelleschi, fratello di Antonio vescovo di Jesi: la primogenita Maria Caterina (nata c.1729), sposa Antonio Amadei; diserederà i figli lasciando a ognuno di loro solo una "posata d'argento" (un vitalizio); morta ultra ottantenne è sepolta all'altare maggiore di Santa Maria in Vallicella; suo fratello Luigi (Avignone 1738 + post 1798); orfano di padre all'età di dieci anni, educato dallo zio Antonio a Jesi che ne è nominato tutore; non sposato di lui si hanno poche notizie se non che appena proclamata la Repubblica Romana il 16 febbraio 1798 viene nominato colonnello della Milizia Civica provvisoria assieme a Francesco Borghese, Francesco Santacroce e Prospero Barberini, dopodiché si perde di lui ogni traccia.*

[Biblioteca Nazionale Centrale di Roma: 19.1059 Dep. S.S.R.1 D. Strenna - "La Famiglia Fonseca di Roma" di Claudio De Dominicis su Strenna dei Romanisti, vol. LIII, anno 1992 - Editrice Roma Amor 1980 - Pgg. 169 a 173 .

*[Biblioteca Nazionale Centrale di Roma: 19.1059 Dep. S.S.R.1.D.-  Strenna - " La Famiglia Fonseca di Roma" di Claudio De Dominicis, su Strenna dei Romanisti, vol. LIII anno 1992. Editrice Roma Amor 1980   –  Pgg. 169 a 173].

[Per la genealogia dei Fonseca da Antonio a Gabriele ci si è avvalsi principalmente della collaborazione del professor James Nelson Novoa, dell’Università di Lisbona e delle sue ricerche contenute in libri, articoli, recensioni].

-(19: I marchesi Galli, originari di Frosinone, esercitano a Roma sin dal 1320 l’attività di banchieri con un Paolo, Conservatore in Campidoglio. Successivamente Giuliano (1436 + 10 settembre 1488) il cui monumento funebre è tutt'ora visibile nella chiesa romana di San Lorenzo in Damaso, nel 1469 è console dei banchieri. Sempre nella carica di Conservatore è Jacopo (Giacomo) nel 1498*.

*[Claudio Rendina: “Le grandi famiglie di Roma” – Newton Compton editori 2006 – pg.350].

Jacopo Galli era notaio della Camera apostolica, un Uditore a capo di un settore dell’ufficio, gabelliere alla dogana di terra e per un anno Conservatore della città. In quegli anni i Galli avevano raggiunto l’apice della loro importanza con Lorenzo che fu tesoriere di Papa Giulio II Della Rovere, sovvenzionando con un prestito i lavori per il palazzo del Cardinal Riario, poi Palazzo della Cancelleria Nuova. Il nome di Jacopo Galli è indissolubilmente legato a quello di Michelangelo. Il giovane artista aveva scolpito a Firenze un Cupido dormiente venduto al cardinale Raffaele Riario quale scultura d’epoca antica. Scoperto l’inganno il cardinale, forse incuriosito dalla maestria dello scultore, incarica Jacopo Galli d’invitare a Roma il fiorentino Michelangelo Bonarroti. Lo scultore arriva a Roma il 25 giugno 1496 e viene ospitato da Jacopo Galli in una delle sue case, in un isolato tra Palazzo Riario e Piazza Navona (tra palazzo Riario, via di San Pantaleo, via dei Leutari e piazza del Pasquino) dove Michelangelo abita sino al 1498. Il cardinale Raffaele Riario che risiedeva ancora a Palazzo Altemps, commissiona allo scultore un’altra statua, il Bacco, che poi rifiuterà e verrà acquistata da Jacopo Galli. A 21 anni Michelangelo godeva della piena fiducia e ammirazione di Jacopo Galli che per lui si prodigò in ogni modo, firmando contratti anche in qualità di garante, come per la Pietà di San Pietro con committente il cardinale francese Jean de Bilhéres Langros (documento conservato oggi a casa Buonarroti a Firenze). Nel contratto è scritto: «Infra un anno la farà; sarà la più bella opera di marmo che sia oggi in Roma; maestro nissuno la faria melior oggi; et versa vice prometto al dicto Michel che lo reverendissimo cardinal farà lo pagamento secundo che di sopra è scripto - Jacopo Galli procuratore». Il Galli si occupa anche di altri pagamenti a favore dell’artista, come per la tavola della Deposizione per la chiesa di Sant’Agostino. Michelangelo lo definisce come «gentiluomo romano e di bello ingegno». Jacopo Galli è sepolto a San Lorenzo in Damaso, la tomba è opera di Andrea Bregno nella chiesa rifatta da Bramante per incarico del Riario*.

*[Fabio Isman: “Michelangelo, svelati gli anni romani del giovane genio” con notizie del Sovrintendente all’Archivio centrale dello Stato Prof. Eugenio Lo Sardo – Il Messaggero 4 ottobre 2011].

Figlio di Jacopo è Paolo. Ultimo maschio della famiglia è Sulpizio la cui figlia Livia sposa nel 1521 un Lancinieri di Fano. Pietro nel 1656 e Battista nel 1687 ricoprono a Roma l’incarico di priori dei caporioni. Quindi: Ulisse Lanciarino Galli, sposa Olimpia Cecchini; da cui Leone Lanciarino Galli con Isabella Eustachi; da cui Francesco Galli [il nome Lancinieri (Lanciarino) non viene più citato] con Olimpia Fonseca.

" (...) Pare che la famiglia Galli si fosse impoverita nella seconda metà del Cinquecento, ma le sostanze possedute da Francesco che qui ci interessa sembrano esssere state di buon livello. Questi era figlio di Leone, aveva sposato Olimpia Fonseca, discendente del celebre medico Gabriele del quale aveva in parte ereditato i beni, e fu padre di Filippo e di Lorenzo" Francesco "Si spense il 25 maggio 1695 e lasciò eredi i due figli con obbligo di fidecommesso e inventari (...) «... anche della mia libreria e anticaglie, che ho nel mio cammerino detto lo studio, quale espressamente sottopongo al mio fidecommesso disposizione, e prohibitione, quale voglio che in niun tempo si possi vendere, imprestare né portar fuori di casa, né accomodare in qualunque modo...». (...) I beni di questa collezione furono in particolare affidati a Lorenzo (...)". Una collezione "«... che forse in Roma non vi è che habbia un altro simile...»". "(...) Lorenzo è normalmente indicato con il titolo di marchese e con il doppio cognome Galli Fonseca (ma anche Fonseca Galli) ...". "Tale palazzo è stato distrutto per l'apertura di Corso Vittorio ma è precisamente individuabile nella cartografia (Pianta di G.B. Nolli, nn. 642-643)" *

*[Maria Barbara Guerrieri Borsoi: "Raccogliere 'curiosità' nella Roma Barocca" - "Lo studio di Francesco Galli (a piazza della Cancelleria)" -Gangemi Editore, Roma 2014 - Pgg. 93,94].

Da Francesco Galli e Olimpia nata Fonseca nascono: Lorenzo Galli-Fonseca (o Fonseca-Galli) che sposa Maria Delfini; Filippo Galli (Monsignore); Maria Rosa Galli che sposa Cosimo Torres. Da Lorenzo Galli e Maria Delfini nascono: Marianna che sposa Giuseppe Zucconi, Laura Olimpia che sposa Antonio Grassi e Pietro che sposa Angela Lana * (Vedi inoltre nota *18: Fonseca).

*[Fondo dell’Ordine di Santo Stefano filza 368 ins.1 - Pisa].

-(20: Testamento di Emidio (7 gennaio 1765 + 1802) di Pietro Antonio Grisostomi. «11 agosto 1801 in tempo del Pontificato di N.S. Pio VII felicemente regnante _ anno secondo del Suo Pontificato (…) – Emidio Grisostomi (…) - (OMISSIS) … [item] ordina, vuole, e comanda, che il suo casino posto nella spiaggia della marina, debba godersi da Sua Eminenza il Sig.re Cardinale Brancadoro di lui vita naturale durante, e sia in di lui libertà di prendersi quei frutti del giardino annesso a di lui piacimento, con questo però che il nolo del quartiere, e magazzeni resti in benef(ici)o della sua famiglia, supplicando S. Em.za a volere avere sotto la di Lui protezione i suoi figli, e la sua famiglia, perché così e non altrimenti (…)».

-(21: Per l’Archivio Araldico Vallardi, nel quale confluirono gli stemmari delle Officine Araldiche Bonacina ed altri stemmari precedenti, si veda A. BORELLA D’ALBERTI, La collezione araldica Bonacina Vallardi, sei secoli di passione per gli stemmi, Teglio 1997.

-(22: Si veda la miniatura nel diploma di laurea in utroque del “Perill.D. Carolus Travaglini” di Marano dell’Università di Fermo, 1783; e G.M. BOCCABIANCA, Le famiglie nobili ripane, \ Lo stemma della città di Ripatransone, Ripatransone, 1929, pg.59: “D’az. all’albero di verde sormontato da una colomba in volo d’argento; alla fascia di rosso attraversante”; per la fascia rossa attraversante, si veda F. BRUTI LIBERATI, Lettere, Ripatransone 1836 \ 1866, e BOCCABIANCA, cit., pg. 62 – 65, nota 5; le varianti A e B compaiono dipinte su panche da sala della fine del XVIII sec., in un disegno di Lucia Grassi-Fonseca Grisostomi-Travaglini della fine del XIX sec.; su una delle torri della Rocca di Castel Marano con annessa villa Grisostomi-Travaglini, prima metà del XIX sec.; affrescato nella volta di una sala di palazzo Grisostomi-Travaglini a Fermo insieme allo scudo Raccamadoro, seconda metà del XIX sec.; affrescato nella volta di una sala della villa Luciani Ranier a Montegranaro, primi del XX sec.; nella vetrata dell’abside della chiesa di S. Pietro a Fermo, metà del XX sec.; sulla facciata della chiesa di S. Maria in Castello, annessa con palazzo Sforza e villa al complesso storico della Rocca di Castel Marano dei Grisostomi-Travaglini, 1946; ed in altri luoghi.