Associazione Bichi Reina Leopardi Dittajuti

I mobili araldici

di Maurizio Bettoja

 

La chiacchierata di stasera verte non tanto sullo sterminato campo dei mobili e degli oggetti decorati da stemmi, ma su alcuni particolari mobili, sulla loro funzione ed il loro posizionamento, una volta molto significativi, ma che oggi con pochissime eccezioni non sono più compresi ed apprezzati nella loro significatività e nel loro valore simbolico e sociale: sono quelli che io definisco “mobili araldici”, cioè quei mobili in cui l’aspetto cerimoniale e di ostentazione araldica prevale sull’utilizzo pratico, e che sono strettamente legati agli usi cerimoniali e di arredo simboleggiante il rango della famiglia.
Parliamo degli arredi cerimoniali dei palazzi e delle abitazioni nobiliari, cristallizatisi fra il XV ed il XVI secolo, fino ai primi del XIX sec.
Questi mobili, questa maniera di arredare le case avevano il loro significato e la loro funzione in una società per ordini e ceti, che rifletteva quest’ordinamento sociale nell’architettura della casa e nei suoi arredi. Tutto ciò non esiste più nella società di classi odierna: la casa di oggi può riflettere la disponibilità economica, che oggi è quasi l’unico metro di misura sociale; e, naturalmente, il gusto e la cultura del padrone di casa, aspetti quest’ultimi però non “sociali” ma privati, che ahimè non hanno più impatto sociale.
La casa nobiliare dell’Ancién Régime non era una casa “privata”, ma “pubblica” – anche se con parti più private, non destinate ad un uso cerimoniale ed effettivamente abitate dai padroni – un’abitazione che doveva riflettere il rango del proprietario, anzi, della famiglia del proprietario (si pensava non in termini di individui, ma di stirpe) attraverso un sistema di segni ben leggibili dei quali la ricchezza era certamente uno ed assai importante (ricordiamo una delle antiche definizioni della nobiltà: ricchezze antiche), ma non il solo anche se rilevante.
Perchè definire “pubblica” la dimora nobiliare antica? perchè non era uno spazio privato, come è diventata dopo la Rivoluzione e con il prevalere del Romanticismo, e sopratutto in seguito alla progressiva perdita di funzione politica della nobiltà, ma uno spazio rappresentativo ove si svolgevano buona parte delle attività “pubbliche” in senso lato del padrone di casa, che, in quanto nobile, aveva una funzione politica, di potere; e la sua struttura, la disposizione, gli arredi dovevano riflettere il rango e la posizione del padrone in base a modelli cerimoniali stabiliti.
In essa si ricevevano personaggi di rango, clienti, dipendenti; si celebravano avvenimenti pubblici e familiari, durante i quali la casa era spesso aperta a tutti; da essa si usciva ed entrava in formalità in occasione di festività o avvenimenti pubblici. Talvolta era in casa che si svolgevano le funzioni delle cariche pubbliche ricoperte dal padrone.
Tutte le grandi dimore nobiliari erano aperte ai visitatori che volevano ammirarne la bellezza architettonica ed artistica, le collezioni e le opere d’arte. E’ solo con l’800, col prevalere dell’aspetto privato delle dimore, che esse si chiudono definitivamente ai visitatori.
E’ in questo contesto che, contrariamente a oggi, la cultura, il gusto, la magnificenza delle collezioni, la liberalità, la committenza artistica raffinata assumevano grande rilievo sociale ed erano un elemento importante di valutazione del padrone e della famiglia, e rafforzavano e giustificavano il predominio politico e sociale della nobiltà.
Modello di queste dimore e di questo tipo di vita erano le corti italiane - ed in particolare quella Papale - che dal XIV al XVII sec. ebbero il ruolo di modello indiscusso di raffinatezza, di gusto, e di comportamento elegante ed aristocratico per le corti Europee, tanto per l’aspetto cerimoniale, quanto per tutto ciò che riguardava l’architettura, la decorazione, le feste, infine per tutto ciò che poteva riguardare la vita di corte e nobiliare. Il modello di corte Italiano si irradiò in tutta Europa, fino alla “versione Hollywoodiana” e pompata di soldi di Versailles (secondo la divertente espressione del Calcaterra in un suo recente interessantissimo volume sulle corti barocche Italiane), che costituì a sua volta un modello da imitare, anche se considerato con ironica sufficienza dagli Italiani.
In Italia non fu trascurabile inoltre l’influsso dell’etichetta Spagnola, di origini Borgognone, per la lunga influenza politica della Spagna in Italia.
La struttura delle dimore nobiliari si modellava su questo schema: si ricordi che tutti i grandi prelati, tutte le grandi famiglie avevano vere e proprie corti, la cui anticamera nobile era formata da nobili, talvolta titolati; ed anche le famiglie della nobiltà minore, in forma ridotta secondo il rango e le possibilità, avevano anch’esse un embrione di corte. Quindi anche le dimore che dovevano ospitare questa vita venivano costruite secondo schemi cerimoniali, non solo estetici o di comodità.
Naturalmente se tutto ciò era realizzato in tutta completezza nei palazzi appartenenti alla grande nobiltà, lo schema era presente in tutte le residenze nobiliari, anche in quelle della piccola nobiltà di campagna, magari ridotto a qualche elemento.


 

Se vogliamo schematizzare l’appartamento nobile di una dimora aristocratica (fig. 1), partendo dalla strada abbiamo il portone d’onore, con i suoi Svizzeri e portieri in livrea che portavano armi da parata in asta (falcioni, alabarde), spesso riccamente lavorate e con elementi araldici.
Anche se non si tratta di mobili, vorrei far notare le colonnette, piloncini o paracarri (fig. 2) che circondavano la casa delimitando, per così dire, uno spazio di giurisdizione. Colonnette ora quasi scomparse per le esigenze della viabilità, ma tipiche delle dimore nobiliari: l’uso originario pratico di paracarro o termine era superato da quello cerimoniale di elemento denotante una residenza nobile.
In particolare le colonnette (spesso colonnone!) ai lati del portone potevano in rari casi avere una catena che li congiungeva attraversando il portone; privilegio quasi regale, e di concessione regia o Pontificia. Ne vediamo esempi al Quirinale e a pal. Braschi.
Nel cortile le famiglie di altissimo rango avevano il privilegio di avere un campaniletto a vela per annunciare visite o i movimenti dei padroni e, naturalmente, per la cappella. Ne troviamo in molti palazzi dell’alta nobiltà; citiamo quello di pal. Colonna, di pal. Altieri, e, ancora, del Quirinale. Le altre famiglie avevano una campanella posta vicino all’ingresso.
La scala nobile doveva naturalmente essere imponente e condurre dal cortile alla grande sala dei palafrenieri, ove sostavano gli staffieri ed i valletti.
Seguivano le anticamere, ove si trovavano i gentiluomini e i paggi componenti l’anticamera nobile del padrone. Una cappella o oratorio privato si apriva in una di esse. Le anticamere portavano alla camera dell’udienza, generalmente con un trono; seguiva la camera, spesso con un letto di parata, e la retrocamera, ambiente più intimo e risevato. Quindi vi era un ordine gerarchico di ambienti di importanza crescente.
In questi ambienti si svolgeva la vita cerimoniale, pubblica della famiglia ed in essi erano distribuiti i mobili funzionali ad essa, e che avevano un aspetto principalmente araldico-cerimoniale. Come venivano usati questi ambienti?
In essi si ricevevano le visite di personaggi di rango più o meno elevato ed il loro seguito, accolti dal padrone di casa e dalla sua corte; inoltre qui il padrone esercitava i poteri della sua giurisdizione o, nel caso, quelli inerenti alla sua carica.
L’etichetta per riceverli variava ovviamente secondo il rango, la qualità e l’influenza della persona ricevuta: in diretto rapporto con tutto ciò, il cerimoniale misurava ed esprimeva in maniera precisa l’importanza, le aspirazioni, l’influenza, in breve i rapporti di potere pretesi e accettati.
Questo dà la vera misura, cioè politica e di potere, il reale significato pratico dell’attenzione minuziosa, quasi maniacale delle descrizioni di avvenimenti sociali e religiosi e del loro cerimoniale. Si contavano i rispettivi passi del visitatore e del padrone di casa; si descrivevano gli ambienti utilizzati e quali; gli abiti, le parole, ogni gesto anche minimo era notato. Le candele, gli arredi, i sedili e la loro posizione rispettiva erano oggetto di attenzione.
Tutte cose che oggi consideriamo assurde, incomprensibili, perchè non sappiamo più leggere quelli che allora erano chiarissimi indicatori di rapporti di potere e supremazia, espressioni politiche.
In sostanza, partendo dalla sala dell’udienza, più il padrone avanzava verso l’ospite attraverso le sale, più gli faceva onore e gli riconosceva rango.
Dunque il padrone affermava la sua superiorità avanzando il meno possibile verso l’ospite e pretendendo che fosse lui ad inoltrarsi verso il padrone; l’ospite al contrario pretendendo che il padrone gli venisse incontro il più possibile, e lo riconducesse al termine della visita il più vicino possibile alla porta.
Naturalmente ciò portava con sé una grande attenzione agli onori pretesi e concessi, e la mancanza di accordo su atti cerimoniali che a noi parrebbero irrilevanti rappresentavano spesso uno scoglio insormontabile per gli incontri di personaggi illustri, che attribuivano ad essi un’importanza di prestigio e politica più che di cortesia.
Non sono rari i casi, ad esempio, di visite di illustri personaggi non fatte per il rifiuto della prima anticamera, della mano, della carrozza, e per questo magari importanti trattative politiche bloccate.
E qui le dame, che a loro volta avevano proprie corti e cerimoniale, e il cui ruolo sociale e cerimoniale aveva nella società dell’Ancién Régime un’importanza enorme, perso in gran parte con la Rivoluzione, assumevano un ruolo determinante nei “maneggi” politici e di potere, avendo una libertà di azione che spesso gli uomini non avevano.
Ad esempio quando, per ragioni politico-cerimoniali l’ambasciatore non poteva incontrare il cardinale che non voleva concedergli la terza anticamera, interveniva, mediatrice potente e abile, la cognata del cardinale (ruolo del tutto codificato a Roma): giocando sulle differenze cerimoniali fra uomini e donne, nel ricever la visita dell’ambasciatore, avveniva che “casualmente” il cardinale si trovasse nella sala; la dama pilotava abilmente la conversazione, ed ecco stabilito il contatto e la trattativa iniziata.

 

In generale l’ospite entrava in cortile con la carrozza, accolto dai guardaportone e dal suono della campana, con rintocchi adatti al suo rango.
Accompagnato dai suoi gentiluomini e dai suoi staffieri saliva lo scalone fino alla sala dei palafrenieri, incontrato, secondo il caso, dagli staffieri o da gentiluomini del padrone. I suoi staffieri si fermavano qui, e sedevano sulle panche da sala disposte lungo le pareti.
Avanzando attraverso le anticamere, era accolto dalla corte nobile del padrone; essi intrattenevano nelle anticamere i gentiluomini del seguito dell’ospite.
Questi veniva incontrato, in luogo determinato dalla sua qualità e rango, dal padrone, il quale gli dava la mano destra o sinistra, e col quale si inoltrava nella sala dell’udienza o nella camera ove aveva luogo la visita, e nella quale il maestro di casa disponeva i sedili del tipo e nella disposizione appropriata al rango dell’ospite. Il padrone poteva, come segno di particolare favore e dimestichezza, condurre a sedere l’ospite nella camera del letto; ma ciò non era frequente. Finita la visita, il padrone riconduceva l’ospite, lasciandolo per primo; l’ospite era poi scortato verso la porta dai gentiluomini del padrone.
Questo, in breve, il quadro cerimoniale nel quale erano inseriti i mobili.

I primi mobili “araldici” che incontriamo in questo percorso sono le panche da sala (fig. 3), sorta di strette cassapanche con uno schienale sul quale è dipinto lo stemma del padrone di casa. Derivanti dagli antichi cassoni o cassapanche, erano in origine piuttosto semplici, in legno lustrato, con uno schienale rettangolare sul quale veniva dipinto lo stemma; nel corso del XVII sec. assunsero forme barocche e vennero interamente dipinte a fastosi motivi architettonici e decorativi. Gli esempi citabili sono infiniti: questo mobile era diffuso in tutta Italia, e si continuò a produrne fino ai primi decenni del ‘900, ed ancora qualcuna se ne fa anche ai giorni nostri. La forma estremamente stilizzata li rendeva mobili di valore puramente cerimoniale e di utilizzo del tutto univoco, nei quali lo schienale si sviluppò in forme sempre più magniloquenti quale supporto per lo stemma di famiglia.
Non è raro il caso di successive ridipinture che aggiornavano gli stemmi sullo schienale, magari quando si trattava di armi di alleanza. Nella galleria d’entrata del palazzo vescovile di Todi le severe panche seicentesche dallo schienale rettilineo mostrano gli stemmi sovrapposti di diversi vescovi.
Questi mobili erano talmente identificati con la vita more nobilium che a Milano, durante l’invasione Giacobina, le panche da sala stemmate vennero bruciate insieme agli stemmi ed ai diplomi, agli stemmari ed altri documenti nobiliari nei roghi accesi nelle piazze dai repubblichini collaborazionisti della repubblica cisalpina. Le panche stemmate si trovavano sopratutto nella sala dei palafrenieri, ma potevano essere disposte anche negli androni, nei porticati del cortile, sulle scale. In ogni caso non superavano la sala dei palafrenieri, essendo un mobile associato con gli staffieri che vi si sedevano, e quindi non adatti alle anticamere, riservate alla corte nobile ed agli ospiti di rango nobile.

Un altro oggetto d’arredamento dalla forte caratterizzazione araldica erano, in Piemonte, le torcere da parete (fig. 4), in genere ad un solo braccio, che partiva da una placca scolpita o dipinta con le armi del padrone. Non ne ho viste anteriori al XVII sec.; e le più recenti, anzi, contemporanee, sono in casa di un consocio SISA, Enrico Genta Ternavasio. Le torcere da parete andavano di pari passo con le panche da sala, e non entravano nelle anticamere.

Altro elemento erano le rastrelliere con le alabarde (fig. 5), anch’esse limitate agli ambienti di ingresso ed alla sala dei palafrenieri. Armi tipicamente cerimoniali e non effettivamente da combattimento, erano decorate da stemmi, e ornate di frange, di bullette e rivestite di tessuti nobili. La loro presenza alludeva ad armati dipendenti dal padrone.Ne vennero prodotte molte anche dopo il ‘600, puramente da parata ed impossibili da usare effettivamente.

A tutte le porte a partire dalla sala dei palafrenieri erano appese le portiere (fig. 6) ornate da stemmi o monogrammi coronati.
Anch’esse erano un elemento tipico delle dimore nobiliari, e l’uso pratico, cioè quello di tener fuori il freddo e le correnti d’aria passava in secondo piano rispetto alla valenza cerimoniale e di rango quale elemento caratterizzante un arredamento nobiliare, a tal punto da essere prescritte nelle norme cerimoniali che regolavano l’arredamento delle dimore degli alti prelati fino al Concilio.

Un altro elemento di arredo tipico dell’ostentazione di rango aristocratico, anche se non strettamente mobilio, sono le serie di ritratti immaginari di antenati, raffigurati magari in improbabili costumi classicheggianti o in approssimativi abbigliamenti medievaleggianti, che sottolineavano la grandezza e l’antichità del casato. Ma l’elemento più imponente e cerimonialmente ed araldicamente rappresentativo era la credenza col dossello con le armi di famiglia e, per le famiglie ed i prelati di alto rango, col baldacchino: il cosiddetto dossello d’anticamera (fig. 7). L’uso del dossello d’anticamera è oggi conservato – per quanto mi è noto - solo a Roma, ma ritengo si fosse diffuso anche in altre parti del nostro Paese; solo delle ricerche più approfondite potrebbero confermare quest’ipotesi, che però ritengo abbastanza attendibile. Ritengo infatti di rinvenirne traccia nell’uso diffusissimo in Italia di esibire lo stemma di famiglia dipinto, ricamato su una tappezzeria appesa al muro, o affrescato nell’anticamera, con generalmente sotto un tavolo, consolle o credenza. L’unico esempio di dossello d’anticamera principesco a me noto fuori di Roma è quello nel palazzo Corsini a Firenze.
Troviamo credenze per mostrare l’argenteria ed il vasellame da parata in Italia sin dal Medioevo; del resto si tratta di un uso diffuso in larga parte dell’Europa, certamente recepito dall’etichetta della fastosa corte Borgognona, che, trasfusa in quella della corte di Spagna, poi in Austria e nei Paesi Bassi, ebbe un’influenza anche in Italia col nome di etichetta Spagnola. L’etichetta della corte Sabauda derivava da quella Borgognona.
Si tratta originariamente di una credenza a gradini ove disporre durante i conviti o ricevimenti di gala il vasellame d’uso, e sopratutto l’argenteria da pompa, cioè piatti, bacili e brocche, vasi, tazze, bacili, creati solo come elementi di magnificenza e di pompa, e di dimensioni e foggia tali da essere inutilizzabili per l’uso di tavola. Questo vasellame poteva anche essere di preziose maioliche riccamente decorate di Urbino, di Faenza, Ispano-moresche, oppure, nel caso che la credenza fosse per la bottiglieria, di cristalli e vetri di Venezia.
L’origine di queste credenze ed argenterie di parata è ancora più remota della corte Borgognona, perchè discendenti dalle credenze senza gradini o tavoli d’appoggio già presenti nei conviti Romani, sulle quali era disposta l’argenteria da parata oltre all’argenteria da tavola d’uso. Conosciamo rappresentazioni affrescate Romane di queste credenze, e molte argenterie Romane da parata sono giunte fin a noi, del tutto simili alle fastose argenterie da parata rinascimentali, barocche, neoclassiche; e quest’uso si è tramandato, anche se in forma ormai minima ed immemore dell’antico significato, sino a certe orrende fruttierine e centri tavola odierne, degeneri discendenti nane di tanta magnificenza.
Nel Medioevo le credenze, utilizzate nei conviti di gala della nobiltà e dei principi, svilupparono una serie di gradini sui quali disporre le argenterie da pompa e non di uso. Si trattava comunque di strutture temporanee ed assai semplici, fatte di assi e cavalletti e coperte da tovaglie bianche.
Poi, indubbiamente iniziando con quelle dei principi, furono coperte da un baldacchino; ed assunsero, a partire dal XVII sec, un aspetto sempre più ricco e decorativo: ricordiamo stampe raffiguranti banchetti Bolognesi del tardo ‘600 con fantastiche credenze barocche.
Queste credenze divennero anch’esse un simbolo di rango. Un sovrano, o personaggio di rango regale aveva diritto ad una sua credenza distinta da quella degli altri convitati, ed il numero dei gradini aveva una relazione col rango. Nei banchetti che ad Aquisgrana celebravano l’incoronazione Imperiale, l’Imperatore aveva diritto a due altissime credenze, gli altri principi ad una, e con altezza e gradini variabili ed inferiori.
Nella celebrazione della Messa in rito tradizionale sono ancora presenti le credenze (fig. 8), che in alcuni casi hanno anch’esse l’aspetto antico a gradini: anzi per i pontificali e per le Messe cardinalizie sono prescritte. Diversi magnifici esemplari si possono ammirare nel Novarese, dal ‘600 all’800. Nel nuovo rito naturalmente sono scomparse.
Anticamente, poi, non esistevano delle vere e proprie sale da pranzo; i pasti si svolgevano in una delle anticamere, o dovunque si decidesse di farli, ed una tavola e credenza temporanea veniva allestita nel luogo prescelto, anche nel caso di conviti di gala. Solo nel tardo ‘700 cominciano a comparire degli ambienti dedicati ai pasti.
Come sia avvenuto il passaggio dalle credenze mobili utilizzate per i pasti alle enormi credenze nelle sale dei palafrenieri, i dosselli d’anticamera, non è del tutto chiaro, anche se numerose descrizioni e documenti a partire dal Rinascimento testimoniano che esse erano usate per mostrare le splendide argenterie della famiglia disposte sui gradini in occasione di feste e cerimonie allestite anche al di fuori della sala dove si svolgeva il convito. Tali credenze e baldacchini erano allora di tessuti splendidi e preziosi, damaschi, tele d’oro, ornati di ricami ed anche in arazzo; non sembra però che vi fosse sempre, come ora è prescritto, lo stemma.
Già allora il dossello d’anticamera era racchiuso da una balaustra, che ne sottolineava ancor più il carattere cerimoniale e quasi sacrale.
In seguito il dossello evolve nelle forme attuali (fig. 9 – 9 bis), e consiste in un alto mobile, dal piano talora di legno, talora coperto dello stesso panno che pende a coprirne le fiancate, liscio oppure a pieghe; sul piano poggiano alcuni gradini alti circa 15 / 20 cm., in numero variabile da uno a tre, ed eccezionalmente a quattro. Più precisamente, il numero consueto di gradini è due: ma i cardinali e le famiglie che avevano avuto un Papa, o che si erano imparentate con case regnanti ne avevano tre (a similitudine dei tre gradini del trono regio), ed i sovrani quattro. La credenza è sovrastata da un dossello con le armi di famiglia, sopra il quale pende un baldacchino o antipendio. La stoffa col quale è fabbricato è panno rosso, guarnito di galloni, trine e frangie di seta gialla. Sotto il mobile vi era un letto per il domestico di guardia nella sala durante la notte. Può essere racchiuso da una balaustra, ma non sempre.
Ai lati del baldacchino pendono due sacche, contenenti una l’ombrellino, l’altra il cuscino, in seta degli stessi colori del baldacchino e gallonati e trinati d’oro, che venivano entrambi portati dagli staffieri o in carrozza quando codesti personaggi uscivano, ed anche, quali simboli di rango, nei cortei funebri.
L’uso dell’ombrellino era privilegio di queste famiglie e dei cardinali, che potevano usarlo mentre uscivano in carrozza per Roma; ai loro membri era concesso poi di inginocchiarsi sul cuscino piuttosto che sulla nuda terra, incontrando per caso il Santissimo per strada.
A tal punto l’ombrellino e le panche da sala erano un tipico simbolo di rango aristocratico, che in una serie di quadretti raffiguranti personaggi della Corte Pontificia ne vidi anni fa uno che raffigurava un lacché di un cardinale, nella tipica livrea a trine stemmate: sotto il braccio aveva la sacca con l’ombrellino, e dietro vi era la panca da sala con lo stemma.
Vi sono alcune differenze relative al rango della famiglia che lo alza.
Il ceto principesco e ducale Romano ed i cardinali lo hanno di panno rosso, con tre gradini per le famiglie papali e per i cardinali, due per le altre.
Avevano diritto di alzare il medesimo baldacchino anche alcune famiglie marchionali ed una comitale, dette di Baldacchino, per testimoniarne l’equiparazione di rango ai principi: esse sono i marchesi Theodoli (per successone Astalli), Serlupi Crescenzi (per successione Crescenzi), Costaguti (estinti negli Afan de Rivera), Patrizi e più tardi Sacchetti (per concessione Pontificia nel 1932), e infine i conti Soderini (per successione Cavalieri).
I vescovi usavano anch’essi il dossello d’anticamera col baldacchino come i cardinali, ma in panno verde anziché rosso, così come le portiere. La sala dell’udienza aveva le caratteristiche consuete.
Per le famiglie di rango nobiliare inferiore il dossello d’anticamera era di panno verde o turchino, con un solo gradino, e col solo dossello stemmato senza il baldacchino. Ovviamente non vi erano ai lati le sacche con il cuscino e l’ombrellino.
Possiamo notare quindi una sorta di semplificazione e di stilizzazione araldica rispetto ai dosselli del primo ‘600: dai ricchi tessuti gallonati d’oro si passa al panno unito gallonato di seta gialla e di colore diverso in relazione al rango, il dossello ha sempre lo stemma di famiglia, i gradini si sono atrofizzati e rimpiccioliti e non potrebbero più portare le grandi argenterie da parata di una volta, l’intero mobile è affetto da una sorta di gigantismo ed è molto più grande delle credenze originarie. Il dossello ha perso il carattere pratico di credenza e ne ha solo uno araldico-cerimoniale, indicante il rango della famiglia ed usato solo cerimonialmente.

Qual’era ed è dunque l’uso dei dosselli d’anticamera?
Esso veniva usato solo per accogliere personaggi di rango reale e per i cardinali, da chiunque alzasse il dossello. Oggi queste norme cerimoniali sono seguite solo in alcune case principesche Romane.
Costoro venivano accolti sulla porta dagli staffieri con torce accese, cioè con quattro lunghi ceri uniti a fascio, con un gocciolatoio verso la sommità. Si tratta però in genere di finte torce in legno dipinto, con un bocciuolo dissimulato sopra il gocciolatoio nel quale inserire corte candele.
Il padrone riceveva l’ospite di rango regale ai piedi dello scalone, e lo accompagnava, insieme agli staffieri fino al dossello d’anticamera, ove il principe o cardinale dava il cappello al maestro di casa, che lo deponeva su una guantiera sulla credenza; gli staffieri, spente le torce, le appoggiavano alla credenza. Lo stesso cerimoniale veniva seguito all’uscita. Ritengo che avessero diritto al cerimoniale succitato anche gli ambasciatori regi e i fratelli e nipoti del Pontefice regnante. Al dossello d’anticamera del ceto principesco Romano e dei marchesi di Baldacchino si associava inoltre, nei palazzi romani di queste famiglie, il privilegio di avere una sala del trono Papale (fig. 10), con un baldacchino sul cui dossello, non stemmato, era il ritratto del Pontefice regnante o quello del Papa appartenente alla famiglia; il trono, posto su di un tappeto, era rivolto verso la parete a significare che esso era riservato al solo Pontefice, quando volesse onorare di una sua visita quella casa.
Farei in questo caso una distinzione fra sala del trono Papale e sala d’udienza: infatti ritengo che la prima sia un privilegio particolare riservato a quelle casate, e che solo nei palazzi delle famiglie principesche e di Baldacchino Romane si tratti di una vera e propria sala del trono riservata al Sommo Pontefice, in quanto essi soli, per il loro rango particolarmente elevato potevano pretendere l’alto onore di ricevere una visita del Papa, mentre la sala d’udienza con baldacchino e tronetto poteva spettare anche a molte famiglie e personaggi non appartenenti a quel particolare gruppo di casate.
A pal. Colonna vi sono due sale del trono: l’una, vicino alla celebre galleria, ha il dossello ed il baldacchino di velluto di Genova rosso, col ritratto di Martino V appeso sotto, ed il trono rivolto verso la parete; l’altra ha il baldacchino di seta ricamata con applicazioni di altri tessuti preziosi, ed ha sul dossello la grande arma Colonna, sovrastante anch’esso un trono rivolto verso il muro. Ritengo che la prima sia una sala del trono Papale, mentre la seconda potrebbe essere, piuttosto che una seconda sala del trono Papale che rappresenterebbe una ripetizione rispetto alla prima, la sala d’udienza del principe: infatti il dossello porta le armi Colonna, le quali non potrebbero esserci nel caso di un baldacchino papale. Il trono potrebbe essere stato rivolto essendosi persa la memoria della funzione originaria della sala d’udienza.
Negli altri casi, e nei palazzi baronali fuori di Roma delle case principesche Romane, si trattava di una sala d’udienza col tronetto in posizione normale sotto il baldacchino; ma di ciò tratteremo più tardi.

Proseguendo ad inoltrarci nell’appartamento, ci troviamo nelle anticamere. Decorate più riccamente rispetto alla sala dei palafrenieri, qui si dispiegava il fasto, il gusto raffinato, la magnificenza della casata.
Queste sale erano arredate con mobili da parata, il cui scopo primario era la magnificenza, non la comodità, fra cui tipici sono i tavolini, ora detti consolles, mobili assolutamente inutili e di pura ostentazione. Su questo genere nel palazzo Borromeo sull’Isola Bella vi è una serie di monumentali stipi – ma senza cassetti o sportelli, e quindi inutilizzabili, di pura e semplice figura.
Le pareti, se non affrescate, erano tappezzate con tappezzerie ricamate o di damaschi con le armi inserite nel disegno della stoffa.
File di sedie e poltrone sono disposte lungo le pareti (fig. 11 – 11 bis).
Vorrei soffermarmi su quest’ultimi mobili. Fra di esse vi era una gerarchia: la sedia a braccioli, la sedia, lo sgabello: ciò corrispondeva al rango dell’ospite che vi si sedeva ed a cui veniva offerto, e naturalmente le gerarchie potevano cambiare in ragione di chi era presente.
E non finiva qui, perchè non tutti avevano diritto a sedere SU qualcosa, in presenza di un principe, e per le dame di rango inferiore che non avevano diritto nemmeno ad uno sgabello, l’alternativa a stare in piedi era sedere per terra!
Si trattava di sedili nobili, nettamente differenziate dalle panche da sala per i servitori e da altri sedili senza un carattere cerimoniale.
La forma di questi sedili era immediatamente riconoscibile e significativa, di grande formalità cerimoniale, il cui modello era il trono da camera del Papa. Le sedie a bracciole erano dette anche all’Imperiale, appellativo che ne dava bene la misura cerimoniale.
Si tratta di sedili di forma essenzialmente quattrocentesca, con gambe, traverse e sostegni torniti. Il profilo dello schienale è quadrangolare, cimato alle estremità da pomi, detti fiamme.
Un posto ampio e codificato era riservato in queste sedie all’araldica. Lo stemma compariva infatti sullo schienale, ricamato, se la poltrona era tappezzata in stoffa, o impresso in oro, se ricoperta di cuoio. Ho visto bei punzoni tardo-cinquecenteschi e seicenteschi con stemmi vuoti perchè fossero riempiti via via dalle armi di differenti famiglie che facevano ricoprire in pelle le loro sedie, il che testimonia la grande diffusione dell’uso degli stemmi impressi sugli schienali e la necessità di punzoni utilizzabili molte volte e per diverse casate.
Altro luogo deputato alla presenza araldica erano le fiamme dello schienale, ove potevano figurare gli elementi principali dell’arma o lo stemma tutto intero. Le fiamme dei troni Papali erano spesso eseguite da grandi artisti, quali il Bernini o l’Algardi.
Questi sedili ebbero un’evoluzione minima dal ‘400 alla fine del ‘700, proprio in quanto mobili cerimoniali che si erano codificati, araldizzati e non avevano più avuto un’evoluzione stilistica. Una modesta evoluzione ebbe luogo nel ‘700, quando lo schienale assunse forme mosse, talora perdendo le fiamme, e con qualche aggiornamento nelle gambe e nei braccioli; ma il modello rimase essenzialmente stabile. Addirittura i classici modelli cinquecenteschi continuarono ad essere prodotti durante tutto il ‘700, e vi fu ancora una ripresa nella Roma della Restaurazione e, ancora più tardi, ritornarono a diffondersi con il sorgere del gusto neorinascimentale alla fine dell’800.
Sottolineo che questi mobili non seguirono l’evoluzione settecentesca in senso rococò delle poltrone e delle sedie con linee sinuose ed avvolgenti ricche di cornici capricciose, di elementi vegetali e risalti, ma rimasero sempre improntate ad una certa rigidità ed a elementi torniti. Naturalmente anche con il mobilio di parata barocchetto e rococò, pur nell’aderenza ai moduli stilistici contemporanei, si conservò la gradazione gerarchica e di etichetta della poltrona, della sedia, e dello sgabello; e l’aspetto più rigido e imponente, anche se non aderente al modello classico all’Imperiale, volle esprimerne l’aspetto cerimoniale, distinto dal mobilio riservato ad un uso privato, più differenziato nelle forme, più attento al comfort, ed aderente all’evoluzione stilistica.
Questo modello rinascimentale di sedili, così legato al cerimoniale dell’Ancién Régime, rimase stabile fino alla sua fine ed a quella del contesto sociale da esso rappresentato; solo nella Corte Pontificia esso continuò come trono da camera del Pontefice.
Si può stabilire un parallelo con l’abito di massima formalità in Italia fino alla Rivoluzione, il c.d. abito di città, un abito nero essenzialmente seicentesco di origine Spagnola, sparito con la Rivoluzione e l’impero Napoleonico, reintrodotto con la Restaurazione, poi sparito con il ’48, e rimasto in uso nella Corte Pontificia e nelle Famiglie Cardinalizie e Vescovili fino alle riforme di Paolo VI.
Vorrei, per inciso, ricordare un particolarissimo modello di sedile (fig. 12), che si trovava solo nei palazzi Pontifici, tenendo presente che quasi nessuno poteva sedere al cospetto del Pontefice: si tratta di una sorta di sgabellone simile a quelli usati nelle chiese, spesso dipinti con stemmi di ecclesiastici, a forma di tronco di piramide. Lo sgabellone in questione aveva anche una sorta di schienale diritto e talvolta con la sommità lievemente sagomata: il tutto richiamante una panca da sala, ma ad un posto.
Questo sedile era usato nelle udienze private del Papa, il quale sedeva sul trono da camera sotto il baldacchino; davanti aveva un particolare tavolo, non grande e coperto di un rivestimento di seta pendente fino a terra, gallonato e aperto sugli spigoli e chiuso da bottoni con alamari. Il piano aveva un tappeto della stessa stoffa ricadente un poco sui fianchi.
Il personaggio che doveva conferire col Pontefice, e che non aveva il rango per poter sedere nè su una sedia a bracci, né su una sedia, per evitare che dovesse restare in piedi, veniva fatto sedere su questo tipo di sgabellone, che, non essendo né sedia a bracci, né sedia, né sgabello ma un mobile ibrido, non poneva problemi cerimoniali attribuendo onori non spettanti e marcava la differenza di rango. La similitudine con le panche da sala credo non fosse casuale. Anche con Cristina di Svezia, perchè potesse sedere davanti al Papa, si dovette inventare (e il disegno fu del Bernini) una sedia non a bracci, ma con una sorta di braccioli atrofizzati e ritirati.
La fissazione di moduli cerimoniali negli arredi si verificò anche con la Restaurazione nei confronti degli stili neorococò e neoclassico: il primo, per riferimento ideologico all’Ancién Régime, il secondo come stile esprimente una alta e solenne formalità.
Mobili in questi stili continuarono ad essere prodotti fino all’ultima guerra per arredare reggie, palazzi governativi, e dimore nobiliari, con l’intento di esprimere con l’adozione di queste fogge considerate estremamente formali e solenni, e che ignoravano gli stili succedutisi negli arredi dal Biedermeier al Liberty, un senso di alta cerimonialità fuori dal tempo adatta all’importanza di una dimora ufficiale (fig. 13).
Forse solo il Decò, così solenne e vicino al neoclassicismo più severo, poté affiancarsi come stile formale al neorococò ed al neoclassicismo. Penso allo straordinario Palazzo Reale di Bolzano, e alla sala d’aspetto reale della stazione di Firenze, con i suoi due troni dallo schienale smisurato, sui quali mi immagino Re Vittorio e la Regina Elena in attesa del treno, con la valigia al fianco......

Passate le anticamere, entriamo ora nella sala dell’udienza. In essa troviamo un baldacchino col dossello, che può avere lo stemma della famiglia, non di panno, come nella sala dei palafrenieri, bensì di tessuti preziosi e con passamanerie dorate (fig. 14).
Sotto il baldacchino è una sedia a braccioli, ovvero tronetto in posizione normale, talora con una predella. La forma del tronetto poteva variare, tanto all’Imperiale che di linea barocca, comunque caratterizzato da un aspetto solenne, formale, fuori dalla norma.
Nella sala talvolta non vi erano altre sedie, ma solo sgabelli, per marcare il carattere gerarchico e cerimoniale dei sedili e dell’ambiente.
Questo ambiente era chiamato sala dell’udienza perchè qui il padrone esercitava la giurisdizione relativa alla sua qualità ed al suo rango, anche se puramente cerimoniale (come ad esempio per un vescovo in partibus), simboleggiata dal baldacchino e dal tronetto.
Ovviamente baldacchino e tronetto non potevano competere a chi, anche se nobile, non aveva giurisdizione feudale o di carica, tanto laica che ecclesiastica. Infatti le già citate norme cerimoniali prelatizie contemplano tronetto e baldacchino negli appartamenti cardinalizi e vesovili.
In altre parole, baldacchino e trono simboleggiavano la giurisdizione del padrone – laico o ecclesiastico – e quindi poteva darsi il caso che competesse anche ad un personaggio non nobile.
Questi arredi erano quindi largamente diffusi in Italia, anche se pochissimi sono sopravvissuti nella loro completezza all’invasione francese e alla fine delle giurisdizioni feudali; talvolta non ne sopravvive che il nome di una sala, quale sala del trono, dell’udienza, della giustizia, del dossello, oggi spesso neanche più compreso. Tuttavia in alcuni palazzi baronali di famiglie Romane si può vedere ancora il baldacchino e il tronetto.
Un magnifico esempio di sala del trono è nel palazzo Borromeo all’Isola Bella, ma sale del trono si possono trovare ancora in diversi altri palazzi e castelli, quali ad esempio la Rocca di Soragna.
In Vaticano invece il trono Papale, detto trono da camera, non si discostò mai dal modello cinquecentesco all’Imperiale. Non solo nelle sale del trono dell’appartamento Pontificio, ma in tutti i ritratti papali dal primo Rinascimento fino a Paolo VI appare questo modello di trono, nel quale le fiamme portano le armi del Pontefice regnante. Nei ritratti – e ricordiamo anche le fotografie, fino a Paolo VI – oltre al trono da camera appare anche il particolare modello di tavolo rivestito di seta descritto prima (fig. 15).
A Castelgandolfo, grazie a Francesco Pacelli, ho potuto vedere uno straordinario documento cerimoniale: il trono da camera di Innocenzo X Pamphily, completo dei due sgabelli d’accompagno, con le fiamme in bronzo dorato dell’Algardi con le armi Pamphily, e le bullette pure in bronzo dorato con i gigli e le colombe, ancora con la tappezzeria originale di velluto rosso gallonata e frangiata d’oro.
Generalmente nella sala dell’udienza il padrone si intratteneva con gli ospiti, ed allora il maestro di casa faceva spostare dalla parete le sedie a braccioli dai gentiluomini perchè le disponessero in maniera adeguata al personaggio che veniva ricevuto (fig. 16).
Il posto d’onore era al centro della sala, in faccia alla porta; e le sedie potevano essere disposte in diversi modi, che indicavano il rango dell’ospite in relazione al padrone.
Se l’ospite era di rango superiore al padrone, esso sedeva al posto d’onore, mentre il padrone sedeva in faccia o alla sua destra. Se di grado pari, l’ospite sedeva in faccia alla porta, il padrone di fronte dando la schiena alla porta. Se di rango quasi uguale, le due sedie davano il fianco alla porta, ed il padrone prendeva quella a destra entrando; se di rango piu basso ancora, disposte allo stesso modo, ma quella del padrone era angolata verso la porta. Tutti quelli che, pur potendosi sedere, erano di rango decisamente inferiore, sedevano voltando le spalle alla porta, mentre il padrone sedeva di fronte ad essa. Naturalmente ulteriori sfumature potevano essere sottolineate con l’uso di una sedia piuttosto che di una poltrona.
I sedili in questione per la loro riconoscibile foggia evidenziavano la loro natura ed uso cerimoniale, il rango dei padroni di casa, la gradazione onorifica attribuita all’ospite e la gerarchia delle sale in cui si trovavano.
Naturalmente il tipo ed il posizionamento delle sedie era causa di contese cerimoniali e di trattative, poiché era ben chiaro cosa voleva dire, in termini di rango e di potere, ogni disposizione di esse. Un divertente episodio fra il cardinal Chigi, futuro Alessandro VII ed il cardinal Panciroli dà bene la misura nella quale una sottile offesa poteva essere suggerita dalla disposizione delle sedie, in questo caso brillantemente risolta a suo favore dal Chigi.

Lasciando la sala dell’udienza entriamo nell’ultima camera dell’appartamento, la quale aveva sempre il carattere di rappresentanza delle altre e poteva ospitare un grande letto di parata particolarmente ricco; non era una camera da letto effettiva, ma veniva usata o come camera di ricevimento in cui il padrone si incontrava con l’ospite, in segno di particolare familiarità, o poteva essere usata in occasione di nozze o puerperi (fig. 17 – 17 bis).
Forse il più straordinario letto mai costruito fu quello colossale, disegnato dallo Schor per la nascita del primogenito della connestabilessa Colonna, la celebre e stravagante Maria Mancini: immaginatevi la fontana di Trevi in legno dorato e damasco scarlatto, ma molto, molto più esagerata..... su un mare popolato di mostri marini, trainata da ippocampi, tritoni e sirene (cimiero dei Colonna), navigava un’immensa conchiglia dorata, che apriva le sue valve sulla bellissima connestabilessa, che, adagiata come Venere sul suo carro, mentre una folla di amorini volanti stendeva su di lei uno smisurato baldacchino di damasco cremisi, ricevette le visite del Sacro Collegio e delle principali dame di Roma.

E con quest’ultima camera ci congediamo dalle antiche case e dai loro mobili araldici, sperando di essere riuscito a farvi guardare con una prospettiva diversa queste dimore ed i loro arredi così ricchi di significati, così rappresentative di tutto ciò che vi era di più alto in termini di cultura, di arte, di artigianato raffinato, così espressive di un’intera civiltà.

 

Didascalie delle immagini :


(1) Roma, pianta del palazzo del duca di Ceri, schema di distribuzione e di arredamento di un appartamento nobile.
 
(2) Arona, colonnette in granito ai lati del portone di un palazzo nobiliare, XVIII sec.
 
(3) Panca da sala, seconda metà del XVII sec.
 
(4) Castello di Guarene, torcera da parete con armi Roero – Avogadro, XVIII sec.
 
(5) Sacro Monte di S.Francesco di Orta, cappella della Canonizzazione, Svizzero con alabarda da cerimonia, XVII sec.
 
(6) Cassine, pal. Zoppi, portiera, XIX sec.
 
(7) Roma, pal. Pallavicini, sala dei palafrenieri, baldacchino o dossello d’anticamera.
 
(8) Novara, S.Gaudenzio, presbiterio, credenza liturgica disegnata da A.Antonelli, XIX sec.

(9) Roma, già villino Giustiniani Bandini, dossello d’anticamera, XIX sec.; notare le sacche coi cuscini e l’ombrellino appesi ai lati e le panche da sala stemmate.

(9 bis) Roma, pal. Brancaccio, fine del XIX sec., dossello d’anticamera con balaustra.
 
(10) Roma, pal. Colonna, sala del trono Papale.

(11) Roma, seconda metà del XVII sec., poltrona o sedia a bracci appartenuta al card. Carlo Barberini (reso il cappello da Innocenzo X Pamphilj nel 1653; + 1704). Notare lo stemma sullo schienale e le api araldiche nelle fiamme.

(11 bis) Bomarzo, palazzo baronale già Borghese, sedia, XVII sec. con scudo vuoto e poi dipinto impresso in oro sul cuoio dello schienale.
 
(12) Roma, pal. del Quirinale, pontificato di Pio IX, anticamera, sgabelloni con dossale.
 
(13) Roma, pal. del Quirinale, periodo Sabaudo, anticamera con arredi neobarocchi posteriori al 1870; notare la consolle neo-impero.
 
(14) Lago Maggiore, Isola Bella, pal. Borromeo, sala del trono, XVII sec.
 
(15) Ritratto di Clemente XIII Rezzonico; notare le fiamme stemmate ed il tavolino.
 
(16) Schema per la disposizione delle sedie per ricevere secondo il celebre trattato di Francesco Sestini, Il maestro di Camera, che ebbe numerose edizioni a partire dai primi del ‘600 fino a tutto il ‘700.

(17) Ariccia, pal. Chigi, letto di parata già a pal. Chigi a Roma, seconda metà del XVII sec.

(17 bis) P.P. Schor, letto di parata del il puerperio della connestabilessa Colonna, seconda metà del XVII sec., già a pal. Colonna, Roma