Associazione Bichi Reina Leopardi Dittajuti

BEATO ANTONIO GRASSI

Prefazione di Mons. Gennaro Franceschetti

Arcivescovo Metropolita di Fermo (AP)

 

 

In occasione del Grande Giubileo dell'anno 2000, a cento anni della beatificazione del P.Antonio Grassi, di nobile famiglia fermana, è stato stampato un libricino, per i tipi di Legoprint Campania S.r.l per ricordare alle nuove generazioni le virtù eroiche del Beato fermano. Sua Ecc.za Mons. Gennaro Franceschetti, Arcivescovo Metropolita e Principe di Fermo, ne ha curato la prefazione.
Il libro non reca alcuna indicazione dell'Autore ma riprende, come è scritto nella prefazione, un'opera di:

P.Cristoforo Antici, della Congregazione dell'Oratorio,
"Vita del Venerabile Antonio Grassi della Congregazione dell'Oratorio, Roma 1687."

Il Volume, scrive il Metropolita di Fermo, è stato "curato da un gruppo di laici della Parrocchia di San Domenico di Fermo che custodisce nella Chiesa del Carmine il corpo del Beato Antonio…".
Il libro ci è stato fornito dal Nob. Dr Prof. Emidio Grisostomi Travaglini, nella cui famiglia è confluita quella dei Grassi.
Il Nob. Prof. Grisostomi Travaglini è particolarmente benemerito per aver fondato e per dirigere alcuni Ospedali chirurgici nello Zambia ed in Tanzania finanziati con fondi raccolti per lo più nel fermano; in questa maniera ha potuto salvare decine di vite umane soprattutto di bambini che, senza adeguati interventi chirurgici, sarebbero rimasti gravemente handicappati per tutta la vita.

INQUADRAMENTO STORICO

II futuro "beato" Antonio Grassi nasce (1592) nello stesso anno in cui il fanese cardinale Ippolito Aldobrandini viene chiamato al soglio pontifìcio con il nome di Clemente Vili. La Santa Sede continuerà con questo nuovo marchigiano, la sua azione favorevole nei confronti di Fermo e del Fermano.
I primi anni del '600, mentre il piccolo Antonio mostra i primi segni della sua vocazione la città di Fermo conosce due avvenimenti nefasti. Sul finire dell'anno 1601 due mesi di piogge incessanti provocarono allagamenti e notevolissimi danni al territorio compreso tra i fiumi Tenna e Aso. Non solo: nell'aprile del 1604 un improvviso incendio scoppiato nel Palazzo dei Priori si estende al vicino Archivio riducendo in cenere documenti molto preziosi.
Sono anche gli armi di grandi arcivescovi. Il cardinale Ottavio Bandini (1595 - 1606) affida la cura dell'Università fermana all'Ordine dei Gesuiti.
Gli succede Alessandro III Strozza (1606 - 1621), che restaurerà la Chiesa Cattedrale e farà stampare i Regolamenti dell'Università.
All'Arcivescovo Pietro Dini (1621 - 1625) si deve l'introduzione obbligatoria in ogni parrocchia dell'Archivio parrocchiale, e l'invito ad incontri periodici tra sacerdoti delle diverse aree della grande Diocesi.
L'arcivescovo Giambattista II Rinuccini (1625 - 1653) viene ricordato per la sua "santa vita". Mentre è in missione in Irlanda capiteranno gli sciagurati avvenimenti dell'insurrezione del 1648.
L'arcivescovo Carlo Gualtieri (1654 - 1668) ha un'attenzione spiccatissima per i più poveri. Li aiuterà in ogni modo nella massima segretezza, dando vita a diverse opere pie. A lui si deve l'inaugurazione del convento delle Cappuccine.
La figura di padre Antonio Grassi rifulge nella storia anche per il suo tempestivo e risolutivo intervento nei fatti del 1648. E' l'anno della carestia: la raccolta del grano è scarsa. Alcuni nobili approfittano della penuria per un'indegna e crudele speculazione. Il popolo insorge e assalta il palazzo del Governo. Cade crivellato da undici pugnalate e da un colpo di pistola mons. Uberto Maria Visconti, a quel tempo governatore di Fermo.
La situazione diventa esplosiva. Sarà padre Grassi conosciuto ed amato da tutti a porre fine ai tumulti alleviando la disperazione dei più bisognosi con azioni caritatevoli. Entrerà così nella storia non solo religiosa della città.

"CERCATE OGNI GIORNO IL VOLTO DEI SANTI, PER TROVARE RIPOSO NEI LORO DISCORSI"

Chiunque, a Fermo abbia occasione di entrare nella Chiesa della Madonna del Carmino trova sotto l'altare di destra, ai piedi del Tabernacolo un'urna che contiene le spoglie del Beato Antonio Grassi/ una delle più insigni personalità della chiesa locale. Cominciandolo a venerare e a pregare si può fare esperienza di quanto sia vera la celebre frase della Didachè: "Cercate ogni giorno il volto dei Santi, per trovare riposo nei loro discorsi".
E quella dei Santi infatti una compagnia reale viva presenza di Amici che ci accompagnano concretamente nelle circostanze della vita e che possiamo guardare e imitare per essere partecipi già da ora di quella Beatitudine di cui godono eternamente.
Questa breve pubblicazione pur non avendo la pretesa di essere esauriente, nasce dal desiderio di far conoscere a chi lo desideri alcuni aspetti della vita del Beato, così da permettere una maggior "familiarità" con questo Santo Padre della Chiesa Fermana.
Le notizie qui riportate sono tratte quasi interamente dalla "Vita del Ven. Servo di Dio P. Antonio Grassi", scritta nel 1687 dal Padre Cristofaro Antici primo postillatore della causa di beatificazione e testimone tra i più autorevoli per la formazione dei processi.

"OHH POTESSI ANCH' IO IMITAR LE LORO VIRTÙ E FARMI SANTO!"

Il 13 Novembre 1592, tre anni prima della morte di San Filippo Neri, nacque a Fermo Antonio Grassi, grande protagonista del suo tempo e della Chiesa di Fermo.
II padre, Vincenzo, della illustre famiglia dei Grassi e la madre Francesca, discendente dei Paccaroni nobili che fin dai tempi di Innocenze IV avevano fedelmente servito la Chiesa episcopale di Fermo, furono un terreno fertile e una solida roccia per la formazione della personalità di Antonio.
La grande sensibilità, la fede certa, la generosa carità e sollecitudine verso tutti/ la profonda devozione per la beatissima Vergine Maria che caratterizzavano i due genitori/ sono tutti aspetti che si ritroveranno sviluppati e potenziati nella vita del Beato.
Le circostanze, i fatti che accadono sono manifestazioni del Mistero/ particolari di un Disegno più grande, e tutta la vita di Antonio è costellata da segni/ da tracce lasciate per indicare la via al compimento di un Destino Buono. Già la nascita è preceduta da due fatti significativi: narrano le cronache che il padre Vincenzo trovandosi lontano da casa, al momento dei parto, fu svegliato da una voce che gli disse; "Su levati e va a casa, perché tua moglie ha partorito un figlio, al quale porrai nome Antonio, e sarà un gran
servo di Dio".
Un analogo episodio successe a Torquato Paccaroni, virtuosissimo sacerdote, fratello di Francesca, che dopo aver celebrato la Messa presagì alla sorella che avrebbe generato un figlio di notevoli virtù.
Il piccolo Antonio ricevette il Santo Battesimo da Padre Grazio Civitella, superiore della Congregazione dell'Oratorio di Fermo al cui carisma Antonio apparterrà con generosa e totale dedizione.
A cinque anni ricevette il Sacramento della Santa Cresima dal Cardinale Ottavio Bandirli/ Arcivescovo Principe di Fermo/ confermando e consolidando cosi, ad opera dello Spirito, quella fede in Colui che tutto rende più vero.
Già dall'infanzia molti furono i segni che ne rivelavano le virtù. Ogni volta che si recava a scuola dal Curato di San Pietro entrava nella Chiesa di Santo Spirito dei Padri Filippini e si raccoglieva in meditazione davanti al Santissimo, partecipava poi intensamente alla Santa Messa, sperimentandone fin da allora i grandi benefici che più tardi gli faranno dire: "Chi vede, e ascolta la Messa con devozione ogni mattina, non può essere se non amico di Dio".
Innamorato delle Sacre Scritture approfittava di ogni occasione per approfondirle. Amava molto la lettura delle vite dei Santi e, consapevole fin da questa giovane età della dimensione comunitaria della fede, desiderando che anche i suoi amici potessero partecipare di questi tesori spirituali, voleva che ogni riflessione personale che ne scaturiva fosse messa in comune in una specie di "scuola di santità". Ne nasceva un tale desiderio di imitazione che lo portava ad esclamare: "Oh che bella cosa esser Santo !! Oh potessi anch'io imitar le loro virtù e farmi Santo !!". Così già dall'età di otto anni, si aiutava in questo suo lavoro ascetico con piccole pratiche di mortificazione sull'esempio di San Filippo. Non mancarono nell'adolescenza di Antonio sofferenze fisiche e morali: ripresosi da una grave malattia che lo aveva ridotto in fin di vita fu nuovamente provato dal grande dolore per la perdita del padre che non aveva resistito nel vedere il figlio così gravemente sofferente.
Il Signore, però, che dispone di tutto per trarre maggiormente a sé trasformando così il male in bene, fece sì che questi avvenimenti dolorosi diventassero per il ragazzo occasioni privilegiate per camminare ancora più rapidamente verso la Pienezza.
Il desiderio di ritrovare in una paternità spirituale il solido sostegno che il padre Vincenzo era stato/ fu esaudito dalla Provvidenza con il dono dell'incontro con il Padre Flaminio Ricci.
Discepolo di San Filippo, dopo aver diretto per sei anni la Congregazione di Roma, il Padre era tornato a Fermo, sua città natale, nella Comunità dei Filippini che lui stesso aveva contribuito a fondare. Fu rincontro con questa notevole personalità, segno visibile della Presenza di Cristo, a segnare l'inizio di un cammino certo ed operoso dentro il carisma Filippino. Sentendolo profondamente corrispondente alle esigenze di Pienezza del suo cuore, Antonio si affidò alla sua paterna guida, seguendone totalmente con umiltà e dedizione gli insegnamenti e gli esempi. L'azione educativa di Padre Ricci era, infatti/ tutta tesa a sviluppare una grande umiltà e una totale disponibilità all'ubbidienza/ certo che la vera libertà, a cui ogni uomo aspira, non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nel seguire un Altro. Antonio lo stimava talmente da ritenere che, come San Filippo, egli avesse ricevuto doni particolari dallo Spirito Santo e, in seguito, dopo la sua morte, il giovane Antonio, colpito da una pericolosa malattia, sostenne di essere guarito, grazie alla sua intercessione. Desiderò inoltre, come poi avvenne, di morire nella stessa camera dove il pio sacerdote era spirato.

"BEN LO SA CHI LO PROVA, CHE ALTRO BEN NON SI TROVA CHE SERVIRE A GESÙ"

L'incontro con Padre Flaminio si rivelò definitivo e totalizzante per Antonio che, lasciandosi docilmente plasmare dall'azione dello Spirito Santo, sentiva sempre più vera e affascinante per sé la forma di vita che i Filippini condividevano. Era attratto in modo particolare dalla letizia e dalla determinazione con cui affermavano che Cristo fosse l'unico motivo per cui vivere e lo riconoscevano operante in ogni aspetto della realtà. Aveva fatto sue le parole che spesso aveva sentito cantare all'Oratorio; "Ben lo sa chi lo prova, che altro ben non si trova che servire a Gesù".
Desideroso di metterle ben presto in pratica, con molta umiltà e fuggendo ogni ostentazione rivelò la sua intenzione di diventare sacerdote nella grande famiglia dei Filippini solo al Padre Flaminio/ che dopo aver valutato la solidità di una tale decisione diede infine la sua approvazione.
L'11 ottobre 1609, a diciassette anni non ancora compiuti, Antonio venne accolto dai Padri dell'Oratorio di Fermo e per tutta la vita non ci fu giorno in cui non ringraziasse il Signore per il grande dono della chiamata sacerdotale. Certo che la vocazione non la sceglie l'uomo ma è un dono di Dio che, riposto in un ambito ben preciso, deve solo essere riconosciuto ed accolto/ per grazia dello Spirito gli si manifestò con chiarezza la strada da percorrere. Gli fu evidente, infatti/ che questo era il luogo in cui, vedendo Cristo presente, si creava un vincolo di fraternità più forte e si percepiva una intensità di fede/ quasi un "anticipato Paradiso" che lo portava ad esclamare anche molti anni dopo "Oh che bella cosa il morir figlioli di San Filippo".
Antonio trasse inoltre grande conforto, dalla incoraggiante approvazione del Servo di Dio Gian Battista Vitelli da Foligno che, di passaggio a Fermo, lo confermò della positività della sua decisione.
Entrato in Congregazione, fu tutto teso a rendere sempre più operativamente presente in ogni sua azione Cristo, intraprendendo una vera e propria lotta con tutto ciò che poteva essere di ostacolo a questo.
Consapevole che il "rinascere di nuovo", condizione posta da Gesù per entrare nel Regno dei Cieli, non poteva essere l'esito di uno sforzo, ma di una Grazia che doveva essere continuamente domandata, su indicazione di San Filippo si affidava quotidianamente alla protezione della Vergine e a quella di San Gregorio Magno.
Ne seguiva poi una costante attenzione a mitigare il suo temperamento, che altrimenti sarebbe stato per sua natura "biliosissimo", dimostrando sempre una grande mitezza e pacatezza, e a soggiogare ogni "mal germoglio" con diversi digiuni e penitenze. Teso tutto all'essenziale/ dormiva su un duro pagliericcio senza un cuscino, dando così scarsissimo riposo al corpo; vestiva poveramente, voleva però che la povertà non fosse disgiunta dalla pulizia che amava sia nel vestire che in tutte le altre cose. Estremamente parco nel cibarsi, osservava con grande attenzione il digiuno quaresimale, anche in tarda età.
A un suo confidente che gli chiedeva se avesse mai portato il cilicio, rispose con grande semplicità di no, ma toccandosi con le quattro dita la fronte indicò essere un'altra forma di cilicio, quella in cui San Filippo diceva consistere la santità; la mortificazione
della propria opinione e della propria volontà.
Amava moltissimo il silenzio come condizione privilegiata per meglio percepire una Presenza paterna che parla, giudica e abbraccia la vita dei suoi figli, e la solitudine, ritenendoli estremamente importanti per la preghiera, alla quale dedicava con grandissimo rigore i momenti principali della giornata. Così, non essendo mai sazio di pregare, al mattino era il primo nell'oratorio comune e la sera l'ultimo ad andare a letto. Un consiglio che spesso ripeteva era questo: "La mattina innanzi ogn'altra cosa si deve far oratione, ed allora succederanno prosperamente tutte l'altre cose, e si goderà pace interna; e si prova per esperienza, che facendosi ìsene l'oratione la mattina, tutto il giorno si sta quieto, e per il contrario non si trova pace, quando la mattina non si fa oratione".
Oggetto continuo della sua meditazione era Gesù Crocifìsso che contemplava portandone nel proprio cuore le umiliazioni e sofferenze. Per rendere ancora più intensa la immedesimazione con Lui, era solito dividere i misteri dolorosi per ogni giorno della settimana così da non permettere alla mente di distrarsi in inutili pensieri.
Dopo l'orazione mentale si soffermava nella sua meditazione sulla brevità della vita leggendo il libro "Praetiosae Mortes lustorum" (Le Preziose Morti dei Giusti) scritto da padre Giovanni Severani dell'Oratorio di Roma. Si dedicava inoltre allo studio e all'approfondimento di quei libri che cominciavano con la lettera S come consigliava San Filippo: Sacra Scrittura e Santi. Della Sacra Scrittura Antonio era profondo conoscitore e ad essa si accostava sempre con grande modestia e venerazione riconoscendovi l'Autore, lo Spirito Santo.
A conferma di questo, ad una persona che gli confidava che avrebbe desiderato essere ritenuta degna di particolari rivelazioni divine, rispose con dolcezza che "Le scritture lasciateci da Dio, sono le più certe e infallibili rivelazioni che possiamo avere, che se l'uomo non si quieta in esse, ne' meno con qualsiasi rivelatione si quieterà".
Alla Sacra Scrittura seguiva l'approfondimento delle dottrine dei Santi Padri, in particolare di San Tommaso/ la cui lettura Io accompagnò fino agli ultimi anni. Per quanto ritenesse buono e necessario Io studio, era però estremamente vigilante nel valutare che non si trattasse semplicemente di un appagamento personale, frutto di orgoglio e vanità, ma che anche questa, come qualsiasi altra sua azione, fosse diretta unicamente a dare maggior gloria a Cristo.
Per questo faceva sempre precedere il momento dello studio da una preghiera che ricordasse che l'unico scopo di ogni gesto è conoscere e amare Dio.
"L'oratione che si deve fare avanti mettersi a studiare è pregare Iddio, che con esso si conosca e ami la sua bontà".

 

LA MORTE

… il Padre…
Trascorse questi ultimi giorni alternando stati di grande debolezza a momenti di rinnovato vigore che derivano la conseguenza dell'avere ricevuto l'Eucarestia dopo avere assistito la celebrazione della Santa Messa ricevette il sacramento della Estrema Unzione dall'Arcivescovo che mai non lo lasciava più ne di giorno ne di notte.
Giunse così fino alla domenica mattina, festa della Vergine Lucia, dopo aver ascoltato la Santa Messa celebrata dall'Arcivescovo, mentre venivano recitate litanie alla Madonna il Beato Padre entrò in agonia.
Furono convocati tutti i Padri con il suono di una campanella, ma, mentre già recitavano le preghiere per i moribondi, videro il malato che con alcuni gesti disse "basta, basta" e capirono che non era ancora giunto il momento. Stando con gii occhi fissi verso il suo Crocifisso mostrava di ripetere qualche giaculatoria. Non passò molto tempo che di nuovo entrò in agonia e verso le 22 calmato l'affanno, mentre l'Arcivescovo recitava le litanie della Beatissima Vergine, nel dire "Regina di tutti i Santi", vide Antonio che "aprì gli occhi verso il soffitto, e poi soavemente chiudendoli, con un dolce sorriso rese la sua bell'Anima al Creatore a li tredici di dicembre in giorno di domenica a hore 22, in circa l'anno di nostra salute mille e seicento settant' uno, e di sua età ottantesimo".
La mattina alle 6 fu eseguita dai medici e dai chirurghi alla presenza della maggior parte dei Padri una autopsia. Osservarono inoltre che per tutto quel tempo e per quello successivo dal corpo emanava una fragranza e un profumo soave.
La mattina seguente cominciarono le Messe di Requiem, ma più tardi fu necessario chiudere le porte della Casa e della Chiesa per il gran numero di folla che accorreva. Fu poi portata la bara in Chiesa, protetta da uno steccato di banchi che non impedì però alla folla di riuscire ad avvicinarsi e a toccare il Beato Padre con le corone o con gli anelli.
Le autorità pubbliche avrebbero voluto portarlo per la città accompagnato da tutti i nobili ma i Padri e l'Arcivescovo non lo ritennero opportuno considerando l'umiltà con cui Antonio aveva sempre vissuto. Crescendo sempre di più la folla che voleva rendere l'estremo saluto al suo "Gran servo di Dio" o "Padre comune" o "Santo" o "un altro San Filippo" così come la devozione e l'affetto di ognuno erano soliti chiamarlo, il governatore fece venire una squadra di soldati della sua guardia ma rivelandosi anche questa insufficiente, l'Arcivescovo usando come pretesto l'ora tarda, decise alle due di notte di far chiudere le porte della Chiesa.
Durante la notte, alla presenza dell'Arcivescovo, di tutti i Padri e di alcune autorità pubbliche ed ecclesiastiche, si chiuse la cassa; l'indomani all'amarezza della gente di non poter più rivedere il proprio Padre, si sostituì ben presto una grande gratitudine per le grazie, che abbondanti cominciarono a riversarsi su tutti quelli che ne invocavano l'intercessione. L'Arcivescovo Monsignor Gualtieri, per non perdere le testimonianze di grazie riavute e di azioni compiute dal Beato, fece formare un Processo con "autorità ordinaria". Circa undici anni dopo il 17 novembre 1682, ottenuto il permesso dalla Sacra Congregazione dei Riti, chiuse le porte della casa e della Chiesa invocata l'assistenza dello Spirito Santo, fu riaperta la cassa per la prima ricognizione sul corpo del Padre. "Levato che fu il corpo dall'antica cassa, non fu da alcuno, ne pur per ombra osservato mal d'odore, venne poi deposto in una nuova cassa davanti all'altare di San Filippo.
Sessanta sette anni dopo la morte, si tenne a Roma la Congregazione antipreparatoria per procedere alla sua Beatificazione.
Nel 1770 venne pubblicato il decreto di approvazione delle sue virtù in grado eroico. Seguirono altre due ricognizioni del suo corpo e nel 1893 fu decretata l'approvazione dei miracoli proposti per la Beatificazione del Venerabile. Il 30 settembre 1900 nella Basilica Vaticana, il Sommo Pontefice Leone XIII celebrò solennemente la Beatificazione del Padre Antonio Grassi.

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