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UNA LETTERA DI GIOVANNI BATTISTA GIGLIUCCI AI FIGLI

Il conte Giovanni Battista Gigliucci, nato il 19 settembre 1815 e morta il 29 marzo 1893 a Fermo, di nobile famiglia marchigiana ligia al governo papale, aderì fin da giovinetto alle idee liberali, rifuggendo sia dalla soggezione al Pontefice, sia dai complotti repubblicani (1). Nel 1848 fu eletto al Consiglio dei deputati nel breve periodo costituzionale di Pio IX. Dopo la caduta della Repubblica romana fu costretto ad emigrare dai domini papali.
Aveva sposato nel 1843 in Inghilterra (2) dopo essersene invaghito a Bologna la giovane bella e virtuosissima soprano Clara Novello, inglese, ma figlia di padre oriundo italiano, contro la volontà delle due famiglie: interruzione di brillantissima carriera per rintanarsi in una oscura cittadina delle Marche con un nobile squattrinato (da un lato), e condurre all'altare una ohibò! "donna di teatro", obiezione dell'osservantissimo parentado dei Gigliucci (dall'altro). Emigrò allora a Nizza e passò poi a Genova e Torino, territori sabaudi, sempre accompagnando nelle principali capitali europee la moglie che aveva ripreso, per aiutare la famiglia, a cantare opere e, soprattutto, musica religiosa con enorme successo.
Il Gigliucci tornò precipitosamente nel 1860 nelle natie Marche per votare l'annessione; fu chiamato a coprire cariche cittadine prima e poi fu eletto deputato della sua Fermo per la VIII legislatura, di S. Benedetto del Tronto per la X e nuovamente di Fermo per la XII. Fu anche segretario della presidenza della Camera e il 29 gennaio 1889 venne nominato senatore.
Le carte della famiglia Gigliucci sono conservate nell'archivio di Stato di Fermo.
Inflessibile liberale e fautore della unità d'Italia, per i figli, che seguirono le orme paterne (il maggiore era entrato nella carriera militare, il secondo giovanissimo andrà volontario con Garibaldi), scrisse nel 1854 questa lettera, che mi è parsa degna di essere conosciuta.
GIULIANA ARTOM TREVES

Nota dell'Autore:

(1) Figura oggi quasi completamente dimenticata, ved. su lui Per il centenario del 1848. I senatori Fermani del Risorgimento: Gigliucci conte Giovanni Battista, Monti conte Domenico, Trevisani marchese Giuseppe Ignazio. Profili dettati da Lutcl MANNOCCHI. Pubblicati da ERNESTO GARULLI con qualche nota illustrativa, Marina Palmense (Fermo), 1° febbraio 1948, pp. 9. Nella Biblioteca Comunale cc Bozzi 8orgetti " di Macerata, esistono sul Gigliucci schede manoscritte di GIULIO NATALI destinate al suo Dizionario bibliografico dei Marchigiani, rimasto inedito, e di AMEDEO RICCI, per un ugualmente inedito Libro d'oro del patriottismo marchigiano. Brevissima nota di G. BADA, in MICHELE Rosi, Dizio. vario del Risorgimento nazionale, Milano, F. Vallardi, 1933, vol. III, p. 222.

(2) Sulla moglie ved. AVERIL MACKENZIE' GRIEVE, Clara Novello 1818?1908, London, 1955.

 

10 agosto 1854
Giovanni Battista Gigliucci ai suoi figlioli.

Figlioli miei,
Ho pensato di scrivere alcuni avvertimenti, pel caso che una morte sollecita mi colga durante la vostra fanciullezza e m'impedisca così di darveli a voce quando sarete in età da intenderli.
Prima di tutto siate attaccati alla Santa Religione nella quale siete nati; ma non confondete con la religione tutto quello che per tale vorrebbe dare a credere la Corte di Roma.
I preti di tutte le religioni e di tutte le sette hanno messo e mettono continuamente nome di religione ai loro interessi terreni. I Preti della Chiesa Romana si servono particolarmente del nome di Religione per conservare il dominio temporale degli Stati Romani. Per questo fine sacrificano la Religione che ha predicata Cristo, e ciò vediamo ogni giorno. Non vi parlo della Inquisizione, chiamata santa per antinomia, non della vendita delle dispense, non della pretesa virtù delle reliquie ed immagini dei Santi, non di altre iniquità simili. Che il vostro ossequio alla Religione sia dettato dalla ragione; ce lo insegnano le Sacre Carte. Ma non dimenticate mai che, per quanto cattivi siano la Corte di Roma e gran parte dei sacerdoti, la Religione ed il Sacerdozio (purgati dagli abusi introdottivi dagli interessi mondani dei sacerdoti e principalmente dal dominio temporale) sono cose sante.
Abbiate sempre presente che il massimo nostro dovere come cittadini è di mettere tutta la nostra energia, le sostanze, e la vita occorrendo, per giungere all'assoluta indipendenza della nostra Patria. Dovete pure lavorare assiduamente al conseguimento di una moderata libertà in quelle parti d'Italia dove non esiste ancora, e soprattutto alla distruzione del Governo Clericale, causa prima dei mali d'Italia e degli abusi peggiori introdotti nella Chiesa di Cristo. Anteponete però sempre la indipendenza a qualunque forma di governo, per libera che sia, e se accadesse mai (faccio una ipotesi impossibile per darvi bene ad intendere il vostro dovere), se accadesse mai che il Governo Clericale fosse il solo capace e voglioso a procurare l'indipendenza dell'Italia, siate sostenitori del Governo Clericale.
Siate fedeli alla Casa di Savoia, quanto essa è fedele all'Italia. Non date retta alle chiacchiere di quelli che per ispirito di parte cercano screditarla nella opinione degli Italiani, ed abbiate in memoria che Vittorio Emanuele, se non fosse stato un uomo onesto, avrebbe potuto, con una certa apparenza di necessità, dopo la battaglia di Novara, non tenere le promesse di suo Padre. Se avrete mai la disgrazia, come l'ho avuta io, di vedere gli eccessi di un partito o di un altro, non vi fate guidare dall'ira o dalla vendetta all'eccesso opposto, ma camminate imperturbati nella via retta con la guida della moderazione, cioè della giustizia.
Che un interesse qualunque o pubblico o privato non vi trascini mai a fare cose cattive se pure leggerissimamente. Un bene acquistato con cattivi mezzi non dura a lungo, e mentre dura i rimproveri della propria coscienza non lasciano goderlo in pace, e poi sarà messo a carico da Dio quando saremo chiamati a render conto delle nostre azioni.
La verità sia sempre la vostra guida nelle azioni e nelle parole. Ma con la verità nelle parole badate di non esagerare per non cadere in una mancanza di carità. Quando vi troverete di dover parlare, piuttosto che offendere la verità, offendete il mondo intiero; ma quando un parlare non sarà un dovere, piuttosto che offendere il prossimo e mancare di carità dicendo una verità, è meglio che voi taciate.
Prima di fare una promessa rifletteteci bene, ma una volta che l'avrete fatta tenetela a qualunque costo.
Non transigete mai quando doveste sacrificare un principio. Cercate però nel tempo stesso di urtare la suscettibilità altrui il meno possibile. Non vi esca di mente che la prudenza è la prima delle virtù cardinali e che l'imprudenza ritarda quasi senza eccezione, quando non rovina addirittura, il trionfo della causa che si difende.
Non vi mettete mai scientemente dalla parte del torto; e se vi accadesse mai di trovarvici per errore, non tardate un istante a confessarlo e ritirarvene appena lo avrete conosciuto.
E se avrete mai offeso qualcuno, mettete il vostro amor proprio in farne spontanea ammenda domandandone scusa.
Siate sempre pronti a giovare il vostro simile secondo le vostre forze e senza ostentazione cioè il più celatamente che potrete.
Quando avrete ricevuto un beneficio non lo dimenticate mai e la vostra gratitudine sia piuttosto esagerata che scarsa. E sia gratitudine di opere giacché la gratitudine di parola sola è una gratitudine magra assai.
Alcuni degli avvertimenti che vi do, figlioli miei, non sono praticabili da Porzia e da Valeria 3) nel modo istesso in cui lo sono da Giovanni e da Mario: ognuno di voi se ne giovi secondo la propria situazione.
Coll'andar del tempo probabilmente vorrete accasarvi. Prima di risolversi a farlo pensateci bene e molto; non vi esca di mente che il passo è serio assai assai. Vi consiglio di non farlo se non vi sentirete una ben forte e ragionata inclinazione per la persona cui intendereste sposarvi.
Un Matrimonio fatto per una inclinazione cieca o per vedute di interesse senza inclinazione rarissime volte riesce a buon fine.
Ma pensate ancora che se l'interesse non deve essere la nostra guida principale nella scelta di una moglie o di un marito, non deve però essere trascurata. Coll'andare del tempo la famiglia cresce, e se per disgrazia durante la fanciullezza di quelli che sopravvengono la Provvidenza vi manda qualche infermità o peggio, con pochi mezzi è difficile tirare avanti la famiglia senza privazioni, le quali, in caso di malattia, per esempio, si sentono di più.
Se vi accaserete, io vi consiglio di andare a vivere marito e moglie soli, cioè separarvi tra fratelli e sorelle. È assai difficile che i gusti di più persone siano gli stessi ed è assai naturale che ognuno preferisca i proprii e più ancora quelli della propria moglie o proprio marito. Ora, facendo casa moglie e marito soli senza cognati e senza suoceri si evitano tanti leggeri sacrifici che alla lunga diventano pesanti e spesso sono causa di durevoli dissapori, le conseguenza dei quali, molte volte seguitano ancora dopo morte a danno dei figli. Né crediate che il dividervi sarebbe antieconomico, né che separati con una quarta parte ciascuno dovreste negarvi più cose di quelle che potreste concedervi col tutto restando uniti. E poi, a costo ancora di qualche privazione vi converrebbe meglio dividervi pel bene della pace di ciascuno e della concordia reciproca.
S'intende già che ognuno dovrete occuparvi a qualche cosa per avvantaggiare la vostra fortuna particolare e provvedere al futuro della vostra famiglia rispettiva. Quando pure foste così favoriti dalla Provvidenza che nuotaste in mezzo agli agi di ogni sorta, dovreste occuparvi in qualche cosa utile a voi stessi, o, meglio, al prossimo ed alla Patria, per evitare l'ozio padre di tutti i vizi, e, causa principale del basso stato in cui è caduta l'Italia. Abbiate in orrore quel vecchio adagio "il dolce far niente ".
Ogni Italiano dovrebbe arrossire anziché ridere di un tal motto, che serve solo a dar la misura della nostra ignavia.

Da "Rassegna storica del Risorgimento" (pagg.285-286-287)
Anno LXIV - Fascicolo III

Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (luglio - settembre 1977)

 

La famiglia comitale Gigliucci , vantava i seguenti titoli : Patrizio Fermano,m, Conte,mf, con riconoscimento del 1899 e del 1905.
È confluita poi nella Famiglia Vinci Gigliucci, con i titoli di : Conte, m, Patrizio Fermano, m, Patrizio di Ascoli, mf,Patrizio di Rieti,mf, Patrizio di Fabriano,mf, riconoscimento del 1899, attualmentefiorisce a Fermo ed a Roma.
Attualmente particolare lustro alla Famiglia viene dato dal conte Giulio Vinci Gigliucci, che ricopre la carica di Ambasciatore Italiano in Svezia.
La Famiglia Vinci ha donato alla nostra Regione monumenti residenziali in grande interesse artistico e storico :
• Villa Vinci di Fermo, come è sotto riportata, prescelta dalla nostra Associazione, nel 2001, quale sede del Ricevimento effettuato in occasione del Concerto che si è tenuto nell'attiguo Duomo di Fermo, di proprietà della Famiglia;
• VillaVinci, detta anche Boccabianca, a Massignano di Cupra Marittima;
• Palazzo Vinci di Fermo.

 

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