Associazione Bichi Reina Leopardi Dittajuti

Cenni storici della Famiglia Corraducci

OLTRE L'ARCO DEGLI ANGELI
Viabilità, territorio, gente e fatti di Camerano tra il 1770 e il 1820

Comune di Camerano - Biblioteca Comunale

di Alberto Recanatini

 

Dal Catasto Urbano della Comunità di Camerano - Delegazione di Ancona - 1817 / 1833 (pag. 126 - 127)

"N° 16 - Casa di proprietà di Corraducci Domenico di Filippo - numero di mappa: 217 o Via della Collegiata, numero civico 253.
Fabbricato di vani 12 su quattro piani così distribuiti: 4 vani al primo piano, quattro al secondo, tré al terzo e tré al quarto.
Estimo catastale in ragione dell'otto per cento sulla pigione: scudi 225.
N° 17 - Casa di proprietà di Corraducci Giuseppe di Filippo - numero di mappa: 218 - Via della Collegiata, numeri civici 254 e 255. Fabbricato di vani 25 su tré piani così distribuiti: 5 vani al primo, 10 vani al secondo e 10 al terzo. Estimo catastale scudi 500."

 

Originari di Macerata, i Corraducci vivevano da secoli a Camerano dove fin dalla prima metà del XVI secolo troviamo un Lattanzio ed un Matteo Corraducci notai, con atti rogati dal 1527 al 1632 (Archivio di Stato - Ancona).
Avevano un sepolcro di famiglia nella Chiesa Parrocchiale e, dai registri di battesimo, si nota che spesso, secondo un usanza di origine medioevale un Corraducci teneva a battesimo i primogeniti maschi del paese.
La famiglia Corraducci, un tempo molto potente ed influente sulla vita pubblica del paese, cominciò ad accusare un improvviso declino proprio in questo periodo storico.
Non se ne conoscono a fondo le cause, ma si può agevolmente ipotizzare che, nel clima della Restaurazione post-napoleonica, abbia risentito notevolmente di compromissioni palesi con i Francesi. Negli anni dell'occupazione infatti, i Corraducci avevano aderito alle idee rivoluzionarie e si erano esposti accettando cariche pubbliche. Il potere clericale, restaurato nelle Marche dopo la parentesi napoleonica, evidentemente non perdonò a questa famiglia tali esplicite compromissioni e, nonostante le numerose benemerenze del passato, ne decretò un lento ma irreversibile declino.
Corraducci Giuseppe nacque a Camerano il 2 gennaio 1743 da Filippo e da Margarita Antonini. Sposò Olimpia Palazzi nata a Fano il 28 dicembre 1751, figlia di Domenico e di Luigia Piccioni- Dal loro matrimonio nacque a Camerano Alessandro il 27 gennaio 1890. Olimpia Corraducci, donna colta e di modi raffinati, si distinse sempre per la sua bontà d'animo e generosità, ma è soprattutto ricordata per aver salvato il paese di Camerano dal saccheggio dei Francesi, già ordinato dopo i tumulti(= Insorgenze popolari NDR) del Lunedì di Pasqua 11 aprile 1798, che avevano portato all'uccisione di un Intendente francese della sussistenza in transito con la sua carrozza a Camerano, proveniente da Loreto e diretto ad Ancona.
Per questo incidente infatti un reparto di Cavalleggeri aveva già ricevuto l'ordine della rappresaglia, particolarmente violenta di solito in casi simili. La nobildonna Olimpia Corraducci, senza esitazione, si recò presso il Comando Francese in Ancona e seppe così bene perorare la causa della popolazione cameranese che riuscì ad evitare la rappresaglia. In ciò fu sicuramente facilitata dalla perfetta conoscenza della lingua francese e dalla nobiltà dei suoi modi.
Una tradizione orale, riportata nelle memorie storiche del Donzelli, vuole che Olimpia Corraducci, prima di partire per la sua difficile missione, avesse sostato in preghiera davanti all'immagine della Madonna della Speranza, nella chiesetta omonima, allora situata sul lato opposto della strada rispetto all'ubicazione attuale.
Una semplice figurina di stagno rappresentante la nobidonna genuflessa in preghiera sarebbe rimasta a lungo, sempre secondo la citata tradizione orale, tra gli ex voto dedicati dalla devozione popolare alla Madonna della Speranza, ma di tale figurina si è poi persa ogni traccia fin dai tempi del Donzelli stesso che fa menzione di ciò.
Un altro episodio attribuito dalla tradizione ad Olimpia Palazzi è quello dell'ospitalità concessa ad Orazio Nelson e Lady Hamilton, ospiti di Palazzo Corraducci nell'estate del 1800, allorché si fermarono per una notte a Camerano nel corso di una gita da Ancona a Loreto.
Fece parlare ancora di sé negli anni 1815/1819 durante la grave carestia che colpi il paese in conseguenza della crisi economica post-napoleonica. In tali frangenti dimostrò concretamente la propria generosità e nobiltà d'animo, distribuendo ogni giorno pane alla popolazione che ne era priva e che si raccoglieva presso Porta Loreto adiacente il suo palazzo. Morì ultranovantenne nel 1844, entrando meritatamente nella tradizione popolare del Paese con toni quasi leggendari.
Corraducci Domenico, fratello di Giuseppe nacque a Camerano il 2 novembre 1755 da Filippo e da Margarita Antonini. Sposò Lucia Tabarini ed ebbe il figlio Bertrando nato a Camerano il 13 aprile 1797.

 

LA NOBILTA' DELLA MARCA NEI SECOLI XVI-XVIII :

PATRIMONI, CARRIERE, CULTURA

Dagli Atti del XXXII Convegno di Studi Maceratesi

Alla ricerca di un modello patriziale
Abbadia di Fiastra di Tolentino 24 - 25 Novembre 1996

di Paola Magnarelli

 

scrive nelle pagine 41-42-43 e 44
Venendo ad un esempio locale, si consideri, in questo quadro di riferimento, il vero e proprio balzo operato dalla famiglia Mazzagalli sul piano della certificazione e dell'autoconsapevolezza nobiliare nel giro di due sole generazioni.
Questa non più che dignitosa stirpe del maceratese, come tante altre ricreata a inizio Settecento sulle basi lacunose di un passato quantomeno frammentario tramite l'istituzione di un fedecommesso e la conclusione di alcuni fortunati matrimoni, aveva avuto i (peraltro regolamentari) problemi di debolezza dell'attaché con un più antico ramo denominato Corraducci; ed anzi, i difetti di continuità nella linea genealogica, sul piano storico e formale, servirono di pretesto ad un abile avvocato negli anni Trenta del Settecento per sminuire con sfoggio d'ironia le pretese di Lorenzo Mazzagalli sull'eredità della nonna. Le poche righe vergate a proposito della presunta antichità del nome in oggetto meritano di essere riportate, perché quasi involontariamente denudano i presupposti grezzi, labili ed indiziar! di una pratica ricostruttiva molto diffusa:  

{...] exibetur fides ejusdem Notarij, forsan antiquitatum profes-
soris, qui testacur de assetta descendentia D. Adversarii a Vanne
Corradutio, et respective Rodulpho Corradutio, sumendo exordio ab
anno 1365,, hancque descendentiam fundat in asserto unico testa-
mento germanico idiomate scripto [...] Quo vero [...} an descenden-
tia per quattuor continuata saecula ex visura unius testamenti et ex
fide informi unici testi probari possit libenter Doctrinae RRPP
deiudicandum relinquimus quando de caetero probatio dictae
descendentiae nobis grata esser [.-.] .

  Circa quarant'anni dopo questo vero e proprio tentativo di delegittimazione, i nipoti di Lorenzo, decisamente denominatisi Corraducci Mazzagalli, portavano tuttavia con pacifica risolutezza una serie cospicua di titoli: conti del Sacro Romano Impero, cavalieri gerosolimitani e dell'ordine di Santo Stefano, ciambellani del rè di Polonia e Ispettori Imperiali dell'Opera Pia Tedesca, carica, quest'ultima, ottenuta nel 1775 per intercessione del cardinale Alessandro Albani.
Peraltro, la famiglia rimase di fatto completamente attestata nella mediocrità provinciale, limitandosi a moltipllcare iveicoli cartacei della sua illustrazione "storico" - araldica; dal momento che il maggior candidato alla carriera curiale, monsignor Setrimio, nato nei 1766 e quindi appartenente alla generazione che aveva perfezionato la definitiva nobilitazione del lignaggio, pur essendosi laureato in utroque a Bologna, "ricusò - come scrive un suo tardo biografo - l'Uditorato di Rota", e scelse di sistemarsi nella prepositura della cattedrale di Recanati e, in seguito, nella carica di vicario del vescovo. Nello stesso torno di tempo, gli Antici concittadini, pari ceto e parenti dei Mazzagalli, lanciavano invece un figlio a Roma quale ministro residente del rè di Polonia, e poi consigliere aulico dell'Imperatore austriaco e di Caterina di Russia: si trattava dei futuro cardinale Tommaso, la cui controversa vicenda personale non avrebbe impedito alia famiglia di intrecciare vantaggiosissime parentele ed amicizie nella capitale, e pure nei principati tedeschi.
Come è agevole desumere anche dal modesto esempio offerto dal Mazzagalli, nel consolidamento del modello patriziale sul versante più classicamente aristocratico assunsero grande importanza gli ordini cavaliereschi, e soprattutto quello di Santo Stefano (46), cui, tra XVII e XVIII secolo, si volse l'ambizione di numerosissime famiglie: anzi, l'aspirazione al cavalierato toscano costituiva spesso l'occasione per intraprendere quelle ricostruzioni genealogiche nude ed eloquenti cui si è fatto riferimento, poiché, anche se esso poteva prestarsi all'ambigua ed affascinante interpretazione dì/fare la nobiltà ancor più che non attestarla, agli aspiranti era comunque fatto obbligo di dichiarare almeno duecento anni di vita more nobilium da parte sia paterna che materna. L'indubbia difficoltà rappresentata dalla profondità temporale del passato richiesto, oltre all' inevitabile impegno economico per il solo abito un cavaliere di Recanati, spese in un anno imprecisato ma compreso nel pontificato di Clemente XI, circa dieci scudi - furono forse all'origine dell'avventurosa ideazione, sino ad ora restata totalmente ignota, di uno speciale ordine religioso cavalieresco, che nel 1683 un patrizio recanatese, Pietro Nicola Venieri, volle sottoporre all'attenzione del concittadino fra Bonaventura da Recanati, residence a Roma (48). L'idea, non a caso maturata nel clima di rigenerazione spirituale instauratesi durante il pontificato di Papa Odescalchi, non ebbe alcun seguito apparente; ma merita di essere ricordata, per l'evidente intreccio tra pietà, amor di patria ed ormai salda consapevolezza nobiliare che illustra, proponendo da un oscuro osservatorio provinciale la formalizzazione di quel modello di cavaliere nobile e cristiano, che costituiva ormai l'ideale aspirazione del patriziato locale. II pensiero è questo; - scriveva il Venieri:  

La S.tà di N. S. regnante, che invigila con zelo ammirabile alla gloria di Dio et alla
salute delle Anime Christiane porrebbe istituire un ordine de'
Cavalieri del Serafico S- Fran-sco, riguardevole nelle prove di nobiltà a
paragone d'ogn'altro, e per avventura più numeroso per la mediocre
spesa da prefìgersi nel conseguirne l'habito, quali Cavalieri, come
persone nobili et autorevoli, havessero il carico di far portare il
dovuto rispetto alle Chiese e d'insegnarvi rutti li giorni festivi la
Dottrina Christiana con vigilante cura [...]

La supplico pertanto - proseguiva la lettera pressantemente - di
voler ciò promuovere presso S. S." a dirittura per non difraudarsi a
N. S. la sua Religione, e la n.ra Patria di quella Gloria non vana che
sarrà per conseguire nella memoria de' Posteri in vigore d'una si bella
invenzione, e magnanima promozione, e generosa approvazione.

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