Associazione Bichi Reina Leopardi Dittajuti

Palazzo Gallo

da uno studio di Mons. Carlo Grillantini

 

Ottenuto dai genitori l'assenso, Mons. Carlo Grillantini (Osimo, 29 aprile 1886 - Osimo 1987) entrò nel Seminario diocesano di Osimo e Cingoli nel 1899. Passato al Seminario regionale di Fano, fu ordinato sacerdote il 25 luglio 1910.
Oratore sacro nella Basilica Cattedrale di Osimo per lunghi anni, insegnò Teologia dogmatica nel Collegio Internazionale francescano. Valido operatore nell'Azione Cattolica, promotore di attività missionarie, aprì un ricreatorio; amministratore diocesano per oltre un trentennio e ufficiale fiscale, è stato nominato Protonotario Apostolico da Papa Giovanni Paolo II.
Mobilitato per tutto il tempo della guerra 1915-18, Cappellano militare onorario, è stato nominato Cavaliere di Vittorio Veneto e dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Dopo gli studi nel Liceo Campana - del cui Collegio omonimo fu Direttore Spirituale per oltre un trentennio - frequentò la Facoltà di Fisica e Matematica nell'Università di Bologna; insegnò poi in vari Istituti scolastici. Fondatore del Museo diocesano, Ispettore onorario ai Beni ambientali, socio della storica Accademia Tiberina e di vari Sodalizi culturali marchigiani, è stato decorato della medaglia d'argento della Pubblica Istruzione per benemerenze letterarie.
Svolse durante l'ultima guerra - nonostante i pericoli - preziosa opera assistenziale.
Autore di varie pubblicazioni storielle e folcloristiche locali, ha avuto la Medaglia d'oro di benemerenza civica.
Sul limitare del suo centesimo anno di età, facendo tesoro della sua tenace memoria e freschezza di spirito, ha dato alle stampe la
terza edizione della sua "STORIA di OSIMO" nel Maggio, 1985.
Strenuo difensore dell'antica e gloriosa Diocesi di Osimo, purtroppo "accorpata" dalla vicina e rampante Ancona, Mons. Grillantini fu uno dei pochi sacerdoti ad elevare, con fermezza, la voce contro questa ingiustizia prodotta nei confronti di una Chiesa che, anche nei periodi più difficili, ha dato prove di eroismo e di attaccamento sincero alla Sede Apostolica.
Poco tempo dopo la definitiva cancellazione della Diocesi nel 1986, ironicamente chiamata "accorpamento", Mons. Grillantini ha reso l'anima a Dio nella contemplazione della Sua Gloria accanto ai Vescovi, ai presbiteri ed ai fedeli di una delle più antiche e fedeli Diocesi delle Marche cancellata in nome di una fatua modernità.  

 

Un po' di storia (del Palazzo NDR):

Il Cardinale Anton Maria della famiglia Gallo, originaria di Carpi ma stabilitasi tra noi fino dalla seconda metà del Quattrocento, era nato in Osìmo nel 1563. Entrato fino da giovane in familiarità con colui che era il Cardinale di Montalto (della famiglia Peretti, diventato poi papa Sisto V) ottenne da questi tanta fiducia e tanti favori, che in breve tempo passò da semplice canonico di San Pietro a Tesoriere pontificio, poi a Vescovo - Cardinale di Perugia (1586) e, appena cinque anni dopo, a Vescovo di Osimo. Nei primi vent'anni del suo episcopato tra noi, fu di un'energia degna di quella
del suo grande protettore Sisto V, e fece integralmente applicare le disposizioni del Concilio di Trento; disposizioni che i suoi predecessori erano riusciti a far applicare molto scarsamente. Quando, poi, la fiducia di Roma gli affidò altri più onerosi incarichi- pur lasciandolo al governo di questa diocesi - (fu eletto Legato della Romagna, protettore del Santuario di Loreto e Prefetto di varie Congregazioni romane) attenuò la sua attività in questa diocesi, che oramai governava a mezzo dei suoi vicari. Morì qui in Osimo nel 1620, oramai decano del Sacro Collegio.
Diventato ricchissimo a seguito di tutti quegli incarichi - anche adoperando una certa parsimonia, senza mancare della necessaria generosità a un certo momento volle costruirsi un'abitazione privata, la quale fosse ben più maestosa che non l'Episcopio di allora.
Scelse il punto più centrale della città: una zona dove avevano sede la Chiesa parrocchiale di Santa Palazia e le abitazioni delle nobili famiglie Dolfi e Capilupi. La Chiesa era proprio nell'angolo tra l'attuale Piazza Gallo e il moderno corso Mazzini; contigui ad essa, seguivano, a tramontana, i due palazzi patrizi. La Chiesa parrocchiale, non potendola sopprìmere, la fece ricostruire lì dinanzi, nell'angolo occidentale fra corso Mazzini e via Leon
di Schiavo; i due palazzi li fece demolire. Però, possiamo esser certi da alcune tracce tuttora visibili, non del tutto. Il palazzo dei Dolfì, che era una famiglia tanto più antica e più ricca dell'altra, era probabilmente nell'angolo tra piazza Gallo e l'attuale via Campana.
Lo fa pensare la presenza di quel mozzo di torre medievale, che mostra tuttora una delle sue pareti lungo via Campana. E questo mozzo di torre fu rispettato e incorporato nel nuovo edificio. Del palazzo Capilupi, compreso tra la Chiesa e i Dolfì, si vedono tracce sull'attuale facciata li, in prossimità dei tettucci delle finestre quarta e sesta (da destra di chi guarda) del piano nobile: e sono accenni dì due archetti in cotto, di finestre più vecchie.
E che parte della facciata del palazzo Capilupi fosse stata rispettata dal costruttore del Gallo, lo si vede anche da una discontinuità nell'attuale paramento in cotto; discontinuità che discende per alcuni corsi, proprio in corrispondenza dì una di quelle finestre.
Della presenza della Chiesa dev'esser traccia il cortile che oggi è chiuso da un cancello in ferro lungo via Campana, e che probabilmente quando i Signori cercavano di non unire mai i loro palazzi con quelli dei vicini {ecco la principale ragione della fitta rete di vicoli e strettissimi vicoletti nelle città antiche, e che vanno man mano scomparendo) deve essere stato già un passaggio per accedere alla porta laterale della Chiesa e alla sua canonica. La facciata dell'edificio di fronte al palazzo Gallo, in questo cortile, ha una qualche pretesa di fiancheggiare una via pubblica, sia pure secondaria.
Ritorniamo al palazzo Gallo. Chi ne sarà stato il progettista? Le troppo poche notizie che abbiamo a riguardo non ci permettono di rispondere al quesito; certo, però, che - osservando l'ampiezza di respiro di tutto l'insieme e la genialità nella disposizione dei vari ambienti - occorre pensare ad un artista di valore. E siccome allora Osimo di artisti di questa levatura non ne aveva, c'è da credere che il Gallo abbia fatto quel che fece il governatore della Marca (Cardinale D'Aragona) per il palazzo del nostro Comune: portò da Roma progetto e disegni; e forse fece addirittura intervenire il loro autore, sul posto.
Prima dì allontanarsi dalle notizie storiche, credo opportuno completare quelle già date, ricordando che la famìglia Gallo fu proprietaria di questo palazzo fino al 1888, quando l'ultima di essi (la nobildonna Angela Gallo Mancinforte) lo vendette, con la più gran parte del mobilio che lo arredava, alla Cassa di Risparmio di Osimo, la quale aveva avuto la sua sede fino dal suo primo costituirsi (1858) nel mezzanino del palazzo Beflini: dove oramai, cresciuto il lavoro, non trovava più spazio sufficiente.
Il prezzo, allora molto notevole, fu di lire 50.000. E gli uffici e gli sportelli furono sistemati nel piano nobile di questo palazzo. E vi stettero fino al 1930, quando - avvertita la necessità di servire la clientela a pianterreno - vi furono trasportati. Con l'occasione, la Cassa fece eseguire dei restauri; e soprattutto - per mettere in comunicazione i nuovi uffici con il piano nobile dove era rimasto l'archivio - fece costruire quella geniale scala sospesa a chiocciola, che tuttora è in funzione.
Ideatore di essa e esecutore degli accennati restauri è stato il nostro concittadino Innocenzo Sabbatini. Cogliendo l'opportunità della presenza di una armatura esterna montata per la ripulitura della facciata, ebbe l'idea.
Dal momento che i palazzi patrizi rinascimentali portano quasi tutti, nelle fasce in pietra delle loro facciate, dei motti appropriati a chi le abita, e dal momento che questo palazzo è ad uso della Cassa di Risparmio che ha per sìmbolo un'ape, suggerii di incidere sulla fascia che corre sotto i parapetti delle finestre del piano nobile, oltre alcune api, i versi virgiliani:

"VENTVRAEQVE HIEMIS MEMORES, AESTATE LABOREM EXPERIVNTVR ET IN MEDIVM QVAESITA REPONVNT"

cioè:
"In previsione del prossimo inverno (le api) d'estate accumulano (il miele) e lo mettono da parte".

Le lettere sono tuttora incise, ma sono poco leggibili. Quei restauri furono una buona occasione per riparare ad uno scempio che a quella facciata era stato fatto nel secolo precedente: al piano terreno, la terza finestra (sempre a destra di chi guarda) era stata tolta, per dar luogo a una volgare porta d'ingressodella Farmacia Santini, la quale occupava tutti i locali verso il Corso. E, allora, la finestra fu ricostruita. Dai locali di destra, e in questo pianterreno, se ne era già andato fin dal 1915 l'Ufficio Postale, che lo occupava da oltre vent'anni. E solo con questo trasferimento degli uffici della Cassa, si ottenne che rimanessero liberi i locali di sinistra di quello stesso pianterreno i quali, già tenuti per tantissimi anni dal dott. Adolfo Blasi come sede del suo studio notarile, erano stati affittati ad una agenzia di assicurazioni.
Quando, poi, la legislazione fascista volle riordinare tutto il sistema creditizio italiano, nell'intento di garantire i depositanti, fu stabilito - tra l'altro - che non potessero essere più autonome le Casse i cui depositi non superassero i trenta milioni, e dovessero essere fuse con altre di maggiore potenzialità. Cosi, la nostra Cassa fu assorbita dalla consorella di Ancona. Molto opportunamente le condizioni per questo assorbimento hanno determinato, tra l'altro, che debba esserci un congrue rapporto tra il numero degli Azionisti di Ancona e quelli di Osimo, come anche di quelli del Consiglio di Am-ministrazione; così pure, un ben definito rapporto è convenuto per le quote assegnate alla beneficenza. E così, oggi, si vive in buon armonia e con evidenti reciproci vantaggi.
È qui doveroso aggiungere che la Cassa anconitana, apprezzando il valore artistico di questa sua sede, ha dedicato all'edificio le sue più premurose attenzioni. Non solo ha fatto quasi rinnovare il tetto, che il tempo aveva reso meno sicuro; ma - oltre all'avere ripristinato il decoro di tutto l'interno e soprattutto meglio garantita la conservazione dei pregevoli affreschi - rinnovato tutti i serramenti esterni e aggiustate le facciate.
Oltre - come dirò - aver trasformato come si doveva gli stessi sotterranei. Lavori lunghi e costosi, che solo una Banca poteva permettersi, e dei quali la cittadinanza le è grata.

Una descrizione:
La facciata si presenta su tre piani, contrassegnati ognuno da 11 grandi finestre (nel piano terreno, la seconda - da sinistra di chi guarda è sostituita dal portone d'ingresso. Nello spazio tra il piano nobile e il terzo corre una fifa di altrettante analoghe finestre minori (quadrate) le quali hanno solo funzione di dar luce alla parte superiore delle alte sale del piano nobile.
Particolare interessante: il portone d'ingresso non è al centro della facciata ma - come ho detto - sistemato molto lateralmente. Questa anomalia trova la sua spiegazione nel fatto che di fronte a detto ingresso è la via interna - un tempo la principale - che direttamente proviene dalla porta civica di tramontana. Detto ingresso è costituito da un ampio portone affiancato da due colonne di pietra d'Istria, le quali sostengono un balcone balaustrato con colonnine alternate da piccoli pilastri, in ognuno dei quali è scolpito lo stemma gentilizio del Gallo. Sotto il davanzale delle tre file di finestre
maggiori corre una fascia di pietra, quasi come un marcapiano.  

Interno del pianterreno:
Sulle pareti dell'atrio che segue l'ingresso sono affisse tre iscrizioni: due romane, una moderna. Delle romane, una è dedicata all'imperatore Lucio Aurelio Vero, fratello di adozione dell'imperatore Marco Aurelio, con il quale governò insieme la cosa pubblica dal 161 al 169 d.C. (anno in cui Vero mori). Era già stata, prima della costruzione di questo palazzo, affissa - non si sa perché - sul basamento del pulpito del Duomo. Tradotta, dice:  

ALL'IMPERATORE CESARE/ LUCIO VERO AURELIO AUGUSTO/ TRIBUNO PER LA TERZA VOLTA CONSOLE PER LA
SECONDA VOLTA/ FIGLIO DEL DIVO ANTONINO PIO/ NEPOTE DEL DIVO ADRIANO/ PRONIPOTE DEL DIVO TRAJANO PARTICO/ ABNEPOTE DEL DIVO NERVA/ GLI OSIMANI PER DECRETO PUBBLICO/ (DEDICARONO).

  L'altra lapide romana è dedicata a Caio Oppio Clemente. Tradotta, dice:  

A CAIO GIULIO OPPIO CLEMENTE/ FIGLIO DI CAIO DELLA TRIBÙ VELINA/ DECENVIRO NEL TRIBUNALE DELLE LITI/ TRIBUNO LATICLAVIO/ DELLA LEGIONE IV FLAMINIA FELICE/ QUESTORE DELLA PROVINCIA DI SPAGNA/ CANDIDATO TRIBUNO DELLA PLEBE/ CANDIDATO PRETORE/ DELL'IMPERATORE ANTONINO AUGUSTO/ PATRONATO DELLA COLONIA/ I COLONI (Dedicarono)

  La terza iscrizione ricorda il grande clinico Maurizio Bufalini (1787-1875) che fu medico in Osimo dal 1832 ai 1835, e abitò in questo palazzo. Tale iscrizione era stata fatta porre dal Comune sulla facciata di questo stesso palazzo, nello spazio tra i tettucci della prima e seconda finestra {da destra di chi guarda) e solennemente scoperta nel 1891. Fu affìssa in questo atrio in occasione dei restauri del 1930.
Questo atrio attraversa tutto l'edificio fino alta facciata posteriore, dove finisce con un'ampia vetrata che da abbondantemente luce a tutto quello interno. Questo ha - a destra dell'ultimo tratto una apertura sostenuta da otto colonne in granito grigio a capitello corinzio (che hanno avuto l'oltraggio di una mano di olio e vernice); apertura in fondo alla quale ha inizio un ampio scalone a gradini molto comodi e che con due rampate porta al piano nobile; e con altre due porte al piano superiore.
Nelle pareti laterali dei rispettivi ripiani, si aprono grandi nicchie (che perciò sono in numero di quattro) dentro le quali sono grandi statue in scagliola, rappresentanti le quattro stagioni.
A fianco dell'atrio si aprono porte che immettono in vari ambienti di questo pianterreno. Ambienti che originariamente erano adibiti - quelli di sinistra - a magazzini e uffici di amministrazione; e quelli di destra a ricovero delle varie carrozze e attrezzature ingombranti; mentre quelli della parte interna erano sistemate a scuderia. Oggi, come sopra si è accennato, tutto questo primo piano è destinato - a sinistra - agli uffici di Direziono della Cassa, e - a destra - ai servizi dì Cassa per i clienti.  

Piano nobile:

È costituito da una serie di saloni e sale resi indipendenti da opportuni atri e corridoi. L'ambiente che ha il balconesull'ingresso è ben più ampio degli altri, perché era già il salone delle feste e dei ricevimenti, ed è anche il più riccamente decorato.
Alle pareti, porte con specchi nei riquadri superiori e disegni a stile pompeiano a colori vivaci, nei riquadri inferiori. Al soffitto, affreschi aventi al centro un ampio spazio rettangolare dove è raffigurata la scena del Giudìzio di Salomone, fiancheggiata da due grandi figure rappresentanti la Scienza e la Grazia divine, raccolte entro cornici rettangolari. Entro spicchi pure incorniciati, le figure simboliche della Conoscenza e della Vanità.
Completano l'insieme alcune figure di angeli e una serie di stemmi gentilizi - a cominciare da quello di papa Sisto V (Peretti) - propri di tutte le famiglie nobili con le quali i Gallo erano imparentati.
Queste suggestive artistiche rappresentazioni sono opera di Cristoforo Roncali (1552-1626); detto il POMARANCIO a causa della sua predilezione, nel decorare, di riprodurre spesso pomi di arancio. Si può supporre che nelle parti secondarie abbia avuto a collaboratori i suoi aiuti.
Dinanzi a questa meravigliosa opera d'arte, non si può passare oltre così semplicemente, senza almeno aver rivelato la forza fisica dei personaggi, la ricchezza delle linee di ogni figura, le eleganze ornamentali. Pregi che hanno indotto il grande critico d' arte L. Lanzi, di Corridonia, a dichiarare questo affresco il migliore di quanti il Pomarancio ne avesse mai eseguiti.
Vien fatto di domandarsi: come può avere pensato il Gallo a commettere quest'opera al Roncalli? E con quale atto fu data questa commissione ?
Quanto alla scelta dell'artista, è presto detto: il Gallo fu per lunghi anni l'uomo che dette vita al Santuario e alla città di Loreto; e, per far le cose degne di quel Santuario, fece venire da ogni parte d'Italia artisti di primo piano. Il Roncalli era tra dì essi; ed ebbe l'incarico di affrescare le stanze del Tesoro. Al Gallo non fu difficile ottenere che il Roncalli lavorasse anche per questo suo palazzo.
Quanto all'atto notarile di commissione, io mi son fatto premura di spogliare tanto gli Atti notarili che si conservano nel nostro archivio vescovile, quanto quelli che si conservano nell'archivio notarile del nostro Comune. Ma, mentre ho trovato Atti per commissione di alcune altre opere d'arte, non ne ho visto per questo lavoro. Forse questo Atto si troverà nell'Archivio della Santa Casa; forse si trattò di una semplice commissione verbale o epistolare, Di più non saprei. Quanto alla data in cui l'affresco fu eseguito, siamo parimenti all'oscuro. Sì può solo asserire che - essendo stato il Roncalli impegnato a Loreto dal 1605 al 1615, e non essendosi potuto completare il palazzo Gallo prima, almeno, del 1600 - la data approssimata da assegnarsi al nostro affresco deve aggirarsi attorno al primo decennio del Seicento.
In altra sala di questo stesso piano sono visibili due grandi tele, raffiguranti Ester dinanzi a Assuero e Davide che suona l'arpa: sono non spregevoli opere dell'esimano Francesco Antonozzi (metà del Settecento) cresciuto alla scuola dei Toschi.
Le altre grandi stanze dì questo piano nobile debbono essere state tutte a disposizione del cardinale; in più di una dì esse, tutte con soffitto a cassettoni dorato, al centro il suo stemma gentilizio anch'esso dorato.
Non potevano non avere funzioni degne di tanto lusso e proprietà. L'ultima di' queste stanze (quella all'angolo sud occidentale del
palazzo) era fa camera da letto del cardinale; camera che si direbbe suddivisa quasi a metà da un accenno di arco, decorato di figurazioni umane in scagliola. La parte più interna era la vera e propria alcova, fornita dei necessari servizi.

Terzo piano:
E' sistemato a vera e propria abitazione, anche per più persone. Sempre molto decoroso, sempre sufficientemente ampio, ma a stanze non così alte ne cosi decorate come quelle del piano nobile.
Vi avranno trovato alloggio alcuni dei più prossimi familiari del cardinale, il suo segretario particolare, e via dicendo. Prima degli ultimi restauri, questo piano era affittato a privati.  

I sotterranei:
Erano fin dall'inizio; ma, mentre allora debbono essere stati adibiti a cantine e legnaia, la Cassa di Risparmio li ha, in questi ultimi tempi, fatti bonificare largamente togliendone ogni possibile causa di umidità. Li ha adattati, in parte, a caveau blindato per la sicura custodia dì valori; e, per il rimanente, li ha forniti di capaci armadi, dove sono sistemati tutti i documenti di archivio dell'Ente stesso.

 

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